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04 febbraio 2013

Il primo scheletro di plesiosauro italiano! (Cau e Fanti 2013)

Alcuni di voi ricorderanno che lo scorso Maggio pubblicai questa foto, nella quale io e Federico Fanti vagliavamo - tutti esaltati - un esemplare fossile del tutto inedito, conservato in un museo italiano. Finalmente, lo studio di questo notevole esemplare è stato pubblicato (Cau e Fanti 2013), e posso quindi condividere con voi la gioia: perché finalmente, dopo tanta attesa, anche l'Italia può, con fierezza, andare a testa alta tra il consesso delle altre Nazioni Civilizzate, e mostrare con orgoglio che pure Ella ha uno scheletro di plesiosauro!
Spero abbiate notato la parodia di certa retorica dell'età giolittiana. Aldilà delle battute, resta comunque il fatto che, a differenza di buona parte delle altre regioni europee, nelle quali i resti di questi rettili marini del Giurassico-Cretacico sono noti fin dal XIX secolo, l'Italia era rimasta stranamente priva di plesiosauri. E ciò contrastava ancora più con il fatto che il nostro paese è comunque fornito di altri rettili marini sauropterigi, parenti prossimi dei plesiosauri, come i notosauri, i placodonti e i pistosauroidi basali (tutti di età Triassica). Qualche pignolo disfattista farà notare che, ad essere precisi, l'esemplare di cui sto per parlare non è in assoluto il primo plesiosauro trovato in Italia: già in passato altri autori segnalarono esemplari attribuibili a plesiosauri, provenienti da affioramenti italiani. Tuttavia, tutti quei ritrovamenti erano veramente miseri: un osso isolato (Renesto 1993), o denti isolati, e non fu sempre chiaro se tali resti fossero riconducibili effettivamente ad un plesiosauro piuttosto che ad altri rettili. Questo nuovo esemplare, invece, è ad un livello qualitativamente molto superiore, e merita di essere riconosciuto per quello che è: il primo scheletro articolato di Plesiosauria rinvenuto in Italia.
La storia di questo esemplare risale agli anni '80 del XX secolo, quando i resti fossili di un grosso animale furono estratti da una cava di Rosso Ammonitico presso Kaberlaba (Vicenza). Dal luogo del ritrovamento, l'esemplare fu poi depositato presso il Museo Paleontologico "Leonardi" di Ferrara, lo stesso dove sono esposte due delle quattro lastre dell'olotipo di Neptunidraco ammoniticus. Il nuovo fossile è rimasto nei cassetti del museo per più di 20 anni, quasi dimenticato fino a quando, alla fine del 2011, Benedetto Sala e Roberta Pancaldi, direttore e curatrice del museo ferrarese, segnalarono a Federico la presenza di questi resti, mai studiati dai tempi della loro scoperta.
Io entro in gioco poco dopo. Una mattina di fine 2011 ricevo una telefonata da Federico, il quale mi segnala ciò che pare essere un esemplare molto promettente, custodito a Ferrara, e mi propone di collaborare alla descrizione di quello che, in quel momento, era un probabile rettile marino dal Rosso Ammonitico, dall'identità ancora incerta. 
Ci chiedemmo subito: che tipo di rettile? Un nuovo esemplare di metriorinchide? O altro?
Inizialmente, la nostra primissima ipotesi propendeva per un ittiosauro. Io non avevo ancora avuto occasione di vedere l'esemplare, e basavo le mie interpretazioni su ciò che mi descriveva Federico. Dalle prime ispezioni dei resti, Federico notò la presenza di alcune ossa allungate, chiaramente delle falangi, sparse nei vari blocchi che formano l'esemplare. Fu proprio quel dettaglio a far scartare l'ipotesi che fosse un ittiosauro: gli ittiosauri giurassici hanno falangi tozze e discoidali, non certo allungate e con superfici articolari ben distinte dal corpo centrale dell'osso. Rimanevano quindi due opzioni: un coccodrillo marino oppure un plesiosauro. Non appena Federico mi inviò le prime foto preliminari dell'esemplare, convergemmo sulla seconda ipotesi: era, senza dubbio, un plesiosauro! Immaginate la mia emozione: il primo caso di plesiosauro in Italia basato su resti articolati e abbastanza completi! Quella sì che era una gran bella (ri)scoperta!
Il resto della storia è abbastanza prevedibile e rientra nella cara prassi del paleontologo: descrizione dell'esemplare, sua interpretazione e pubblicazione in una rivista scientifica (Cau e Fanti 2013).
Un bel puzzle da ricomporre; ma non abbiamo tutti i pezzi, né il disegno sulla scatola... ma proprio questo è il bello! (Foto di Davide Bonadonna)
Riassumendo i risultati della nostra ricerca (che potete leggere nel dettaglio scaricando la versione online dell'articolo già disponibile sul sito di Acta Palaeontologica Polonica):

L'esemplare, MPPL 18797, comprende la metà posteriore del cranio e della mandibola, ancora in connessione anatomica, alcune vertebre del collo, parte del torace, parte di una pinna posteriore e metà della coda. Purtroppo, il fossile ha subìto una massiccia compressione durante i milioni di anni in cui è stato parte degli strati del Rosso Ammonitico, che ha reso poco chiari i contorni delle suture ossee, ed ha compattato e pressato ossa che normalmente sarebbero distinte. Pertanto, l'identificazione di molte ossa è stata piuttosto ardua. Nondimeno, siamo riusciti a ricostruire in modo molto buono quello che doveva essere il suo aspetto originario.
Il cranio del plesiosauro italiano, confrontato con quello di Peloneustes.
La testa (la parte preservata è lunga mezzo metro) è relativamente grande rispetto al resto del corpo, allungata, e presenta mandibole affusolate. Le ossa della regione attorno all'orbita presentano un processo prefrontale che si espande nell'orbita, e un ampio osso lacrimale che esclude il mascellare dal margine oculare: questa combinazione di caratteri è esclusiva del clade Pliosauridae, e ciò conferma quanto già appariva constatando le grandi dimensioni della testa: si tratta di un "pliosauromorfo", ovvero, un plesiosauriano con testa voluminosa e collo corto e robusto, contrapposto ai "plesiosauromorfi", che hanno testa ridotta e collo lungo (NB: i termini "plesiosauromorfo" e "pliosauromorfo" non indicano cladi, bensì due morfologie corporee generali [testa grande + collo corto vs testa piccola + collo lungo], che sfumano una nell'altra con varie specie di plesiosauri che presentano proporzioni intermedie tra quelle dei grandi pliosauridi come Kronosaurus e quelle dei tipici plesiosauroidi come Elasmosaurus).
Il continuum morfologico dei Plesiosauria può essere rappresentato come uno spettro tra un estremo "plesiosauromorfo" ed uno "pliosauromorfo". Il fossile di Kaberlaba probabilmente si colloca nella zona pliosauromorfa. Tuttavia, questo spettro non rappresenta una singola linea evolutiva, dato che la condizione "pliosauromorfa" si è evoluta indipedentemente almeno due volte a partire da antenati "plesiosauromorfi": in Pliosauridae ed in Polycotylidae.

Sebbene frammentario e di difficile interpretazione, lo scheletro del nuovo rettile italiano è quindi riferibile ad un Pliosauridae non eccessivamente derivato, la cui lunghezza totale doveva aggirarsi sui 3-4 metri. Nelle proporzioni generali del cranio, MPPL 18797 assomiglia molto a Peloneustes, un pliosauride inglese di età comparabile a quella del nostro esemplare. Tuttavia, per ora, non è possibile identificare nel pliosauro italiano i caratteri diagnostici di Peloneustes, né di altri generi pliosauridi: per questo motivo, abbiamo evitato di attribuire l'esemplare ad una specie precisa, né abbiamo istituito un nuovo taxon.
Si spera che prossimamente nuovi esemplare possano essere rinvenuti nel Rosso Ammonitico, e possano chiarire ulteriormente le affinità evolutive e lo stato tassonomico di questo pliosauride.
MPPL 18797 è un fossile veramente importante per la paleontologia mesozoica italiana: oltre ad essere il primo plesiosauriano (e pliosauridae) basato su resti articolati, aggiunge un secondo clade di rettili fossili nel Rosso Ammonitico: dopo Thalattosuchia, rappresentato da vari resti, tra cui Neptunidraco, ora anche Plesiosauria è documentato in questa Formazione.
Il pliosauride di Kaberlaba è stato rinvenuto in un preciso livello del Rosso Ammonitico Intermedio, che ci premette di datarlo tra la fine del Calloviano e la metà dell'Oxfordiano (circa 160 milioni di anni fa): esso è quindi circa 6-8 milioni di anni più recente dell'altro rettile scoperto in questa formazione, Neptunidraco.
Ringrazio Federico (col quale a breve brinderò con birra), la direzione del Museo Leonardi di Ferrara, che ha permesso lo studio dell'esemplare, e il sempre solerte Davide Bonadonna, autore della ricostruzione ufficiale di questo nuovo rettile mesozoico italiano.
Sono proprio soddisfatto!

Bibliografia:
Cau A. and Fanti F. 2013. A pliosaurid (Reptilia, Plesiosauria) from the Rosso Ammonitico Veronese Formation of Italy. Acta Palaeontologica Polonica doi.org/10.4202/app.2012.0117
Ketchum, H.F., and Benson, R.B.J. 2011. The cranial anatomy and taxonomy of Peloneustes philarchus (Sauropterygia, Pliosauridae) from the Peterborough Member (Callovian, Middle Jurassic) of the UK. Palaeontology 54: 639–665.
O'Keefe, F.R. 2002. The evolution of plesiosaur and pliosaur morphotypes in the Plesiosauria (Reptilia: Sauropterygia). Paleobiology 28(1): 101–112.
Renesto, S. 1993. A Cretaceous plesiosaur remain (Reptilia, Sauropterygia) from the Argille Varicolori of Varzi (Pavia, Lombardy, Northern Italy). Rivista Italiana di Paleontologia e Stratigrafia, 99(1): 101–106.
Smith A.S., and Dyke, G.J. 2008. The skull of the giant predatory pliosaur Rhomaleosaurus cramptoni: implications for plesiosaur phylogenetics. Naturwissenschaften 95: 975–980.

13 commenti:

  1. E lo sono anche i tuoi lettori (soddisfatti intendo), complimenti!

    Valerio

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  2. Luigi3354/2/13 18:40

    Complimenti vivissimi, Andrea!

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  3. Ottimo lavoro. In effetti mi chiedevo come mai non si parlasse mai di plesiosauri in italia. Vorrei solo farti una domanda:
    Ma il fatto che un paleontologo si occupi di vari gruppi (ad esempio teropodi, crurotarsi, e adesso anche plesiosauri per te) è una cosa comune oppure in genere i paleontologi sono più settoriali?
    Simome

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    1. Non so. C'è che si specializza. Io amo variare. Ovviamente, ho un campo specifico in cui sono più competente (i theropodi) ma mi piace imparare cose nuove, e se capita un fossile interessante non mi tiro indietro e cerco di studiarlo.

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  4. Bella riscoperta! Però ho una domanda: Bobosaurus forojuliensis non può essere considerato un "plesiosauriforme"? o è più un "notosauro"?
    Jacopo

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    1. No scusa un "pliosauriforme"?
      Jacopo

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    2. Nè l'uno nè l'altro. Bobosaurus è molto prossimo a Plesiosauria, ma è esterno a quel clade. Non ha alcuna affinità diretta coi notosauri.

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    3. Quindi ricade all'interno di Pistosauroidea?
      Jacopo

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  5. Bella la (ri)scoperta, bello il blog, bello il plesiosauro, e molto bella la frase di Gould.
    A questo punto viene da chiedersi: che cosa nasconderà ancora il museo di Ferrara?
    Bravissimi, continuate così
    FG

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  6. Ciao Andrea, sto leggendo l'articolo tuo e di Fanti e ho letto "grade gracilelongirostrine" dei pliosauridi basali.
    Il grado non è un'antitesi della cladistica? Voglio dire un grado potrebbe non essere monofiletico come è obbligatorio che sia il clade.
    Sicuramente la tua scelta è stata dettata da un motivo pratico, ma io credevo che i gradi fosse in "disuso" nella letteratura paleontologica. Per quale uso pratico si continua ad usare il grado?

    Ho lasciato un commento sull'articolo di Taylor et al. riguardante i sauropodi.
    Non ho ricevuto risposta. Forse ti è sfuggito? Ovviamente se non avevi voglia di rispondere per un qualunque tuo insindacabile motivo considera questa nulla.

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    1. Il grado è una porzione non monofiletica di un clade. Non devono essere usati per istituire taxa e non devono essere inclusi in analisi di dati filogenetici, ma sono nondimento utili per parlare, dato che indicano una zona della filogenesi.
      In un abstract, ad esempio, spesso non si può andare oltre un certo numero massimo di parole: piuttosto che scrivere "l'esemplare è esterno al clade comprendente i pliosauridi derivati con rostro robusto" è più semplice scrivere "appartiene al grado gracile longirostrino", sopratutto perché quel termine era già usato in letteratura e quindi il suo significato era noto.
      Non ricordo di aver ricevuto una commento su un post sui sauropodi... siccome ci tengo sempre a rispondere ai tuoi commenti, deve essermi sfuggito (e non ricordo a quale post fai riferimento), se puoi darmi il link controllo e commento.

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  7. La posizione del lacrimale ha messo in moto un ragionamento che mi tormenta da un po' e volevo chiederti se volevi aiutarmi a capire.
    Il nome delle ossa riflette l'omologia o la posizione? Intendo il mio lacrimale e quello del fossile da te descritto sono omologhi perché sono lo stesso osso che ha cambiato forma oppure hanno lo stesso nome perché sono nella stessa posizione relativa rispetto alle altre ossa. In questo caso cosa si prende come dato fisso.
    Per es., se l'osso in una data posizione rispetto all'orbita è il lacrimale il punto fisso è l'orbita.
    Se invece è l'omologia il criterio, come si può stabilirla da un fossile? Immagino che per gli animali viventi si possano fare ricerche embriologiche per capire da dove si origina un determinato osso.
    In altre parole, come sai che l'osso nella posizione da te indicata nel tuo articolo è il lacrimale?

    Approfitto per un'altra domanda. Il sospensorium è il nome di un osso o di una struttura composta da altre
    ossa. Negli articoli sui teropodi non ho mai sentito nominare quest'osso.

    Grazie se vorrai rispondermi e un saluto

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    1. Il concetto di omologia è molto complesso. In breve, si assume omologia nei fossili se una struttura ha la stessa posizione e una continuità filogenetica con un'altra.
      Il caso del "lacrimale" nei pliosauridi è significativo, dato che non tutti i paleontologi concordano nel chiamarlo "lacrimale", e questo perché negli altri plesiosauri non esiste quell'osso (e si ritiene che quell'osso sia scomparso all'inizio della storia evolutiva di questi rettili), e quindi è probabile che l'osso lacrimale dei pliosauridi non sia un "vero" lacrimale, ovvero un osso omologo al lacrimale della maggioranza dei vertebrati, bensì una neoformazione che occupa la stessa posizione.
      "Sospensorium" è un sinonimo del quadrato, o, in generale, delle ossa che assieme al quadrato formano l'articolazione con la mandibola.

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