La rivoluzione informatica
nella quale siamo immersi (e nella quale ci stiamo immergendo sempre
più) è talmente rapida che solo un decennio fa, aldilà di facili
battute numerologiche, sembra un altro secolo.
L'avvento delle fotocamere
digitali ha reso le pellicole fotografiche un “vvv”, un vecchio
vestigio vintage. Eppure, almeno nel mio caso, quasi tutte le
fotografie vecchie di almeno 5 anni sono ancora care vecchie
pellicole, quelle che, trascurando le bizzarre sette della Polaroid,
si stampavano da un maniscalco ormai desueto e marginalizzato per la
nicchia del wedding-planning noto come “fotografo”.
Nella maggioranza dei
casi, le vecchie foto dell'era pre-digitale sono “atemporali”.
Alcune, una minoranza, presentano sulla faccia inferiore una data,
corrispondente a quella di stampa, la quale, comunque, non
corrisponde esattamente al momento in cui tali immagini si impressero
sulla pellicola. Altre, ancor più minoritarie, appartenenti a quella
fase di transizione tra il Paleozoico fotografico ed il Cenozoico
digitale, presentano una orribile data in caratteri digitali impressa
sulla stessa foto. Ammetto senza remore di detestare quella
soluzione, che deturpava la foto e la rendeva “fredda”, se non
altro perché ricorda i fotogrammi di certi film fantascientifici
anni '80 (come “Terminator” e “Robocop”) in cui,
inspiegabilmente, il robot/androide/cyborg di turno ha un punto di
vista letteralmente sovraimposto ad una schermata di computer, con
puntatori, calibri e ridicole sovrascritture come “target” e
“unknown” (che senso ha per un robot di “leggere” sulla
propria visuale i concetti che deve elaborare?).
Immaginate di essere un
meticoloso fotografo dilettante dei bei tempi andati, pre-digitali,
il quale abbia una ampia raccolta delle foto del proprio figlio,
dalla nascita al giorno della agognata laurea. Le foto sono raccolte
per ordine cronologico, ma nessuna ha un'indicazione della data, né
sul retro né, per fortuna, sulla foto stessa. Le foto sono raccolte
in scatoloni, tutti impilati in uno sgabuzzino. Immaginate che un
giorno, il colossale e maldestro alano del nostro fotografo, una
femmina di nome “Matilde”, entri nello sgabuzzino e con la tipica
noncuranza dei cani di quella mole rivolti completamente l'intera
raccolta di fotografie, rovesciandola a terra. Dopo di che,
interviene il gatto di casa, di nome “Gatto” (non so il perché
del nome), a completare il disastro, giocando con le foto,
mangiucchiandone alcune, facendone slittare altre sotto il vecchio ed
irremovibile armadio della prozia, e di fatto disperdendole in modo
del tutto caotico nel pavimento del corridoio. In breve, l'intera
raccolta di foto è stata stravolta, ed il suo ordine originario
perduto.
Come potrebbe il nostro
sciagurato fotografo rimettere ordine alle foto?
In parte, potrebbe
affidarsi alla memoria diretta (“questa foto è stata scattata nel
1978, perché questo tipo di pellicola non si produce più dal
1979”), anche se è improbabile che un uomo normale abbia in
memoria l'esatta sequenza delle foto che ha scattato, sopratutto se
il numero di queste è, nel nostro ipotetico caso, molto elevato. Il
modo più rapido ed efficace per cercare di ristabilire un ordine
nelle foto sarebbe quello di basarsi sulle immagini presenti,
correlandole in base ad un criterio. Ad esempio, se le foto sono in
maggioranza focalizzate sul proprio figlio, sarà saggio ordinarle in
gruppi in base alla “forma” del figlio come appare nelle foto. Le
foto dove esso è palesemente un infante formeranno un gruppo, quelle
dove è ancora caruccio e pettinato in un altro gruppo, quelle dove è
brufoloso e coi capelli lunghi in un altro gruppo, e quelle con la
cravatta e una pergamena in un altro ancora... Una volta stabiliti
criteri così grossolani, si procederebbe a stabilire ulteriori
sotto-gruppi: il caro bisnonno Alfio ci ha lasciati prima che nostro
figlio imparasse a camminare, quindi le foto col bisnonno sono
raggruppabili in un gruppo intermedio tra quelle “infante” e
quelle “bambino pettinato bene”. La prima gatta “Felix” era
presente prima che nostro figlio si iscrivesse all'università,
quindi è probabile che le foto in cui compare Felix possano separare
un sottogruppo “capellone brufoloso pre-università” da un
“capellone brufoloso universitario”. E così via, tanti più
dettagli si useranno per discriminare le foto, tanti più gruppi e
sottogruppi si potranno individuare.
Alla fine, il nostro
sciagurato fotografo, dopo aver lasciato Matilde e Gatto in giardino,
e speso 10 ore a rimettere in sesto le sue foto, avrà probabilmente
assemblato un qualche pattern generale con cui ordinare le
fotografie, uno schema ramificato, in cui le foto, raggruppate in
base alle caratteristiche simili condivise, formeranno gruppi, e poi
gruppi di gruppi, e poi gruppi di gruppi, fino al gruppo totale, che
comprende tutte le foto... perlomeno quelle sopravissute alle
catastrofiche incursioni di Matilde e Gatto. Noteremo immediatamente
che non tutte le foto presentano sempre gli stessi soggetti: a volte
è presente il figlio soltanto, altre volte con la sorella, altre
volte con i cugini, o con la zia, o con i compagni di scuola, e non
sempre con gli stessi compagni. In breve, alcuni raggruppamenti
potrebbero non mostrare fasi di una singola storia, ma piccole storie
secondarie emerse dal confronto delle foto. Sarebbe quindi una
struttura ben più articolata della semplice serie di foto di una
sola vita, qualcosa che, nella sequenza originaria, prima dell'arrivo
devastante di Matilde, forse non emergeva nella sequenza ordinata di
foto raccolte nello sgabuzzino.
Lo schema prodotto,
quindi, potrebbe avere una forma complessa e non molto diversa da
questa. All'estremità di ogni linea sarebbe una o più fotografie.
Abbiamo ricostruito la
serie storica delle foto?
No, perché il sistema di
raggruppamenti non ha ancora al suo interno una “linea del tempo”,
ma soltanto una serie di legami basati sulle reciproche somiglianze.
Come possiamo stabilire il “tempo” in queste foto? Un modo
sarebbe di prendere un punto della struttura, assumerlo come “radice”
dell'intera struttura e definire come “passato” qualunque
direzione che porti a quel punto, e “futuro” qualunque direzione
che ci allontani da quel punto. E quale punto scegliamo come
“radice”? Le foto non possono dirci questo. Dobbiamo decidere
noi, in base ad un criterio valido, robusto, e non vincolato alle
caratteristiche delle foto, il criterio per cui una foto sia da
considerare “radice” della struttura. Nell'insieme di tutte le
foto, una soltanto mostra il figlio del fotografo all'interno di una
culla ospedaliera, palesemente neonato, con gli occhi ancora chiusi,
la faccetta raggrinzita e l'inconfondibile fascettina al polso come
quelle che mettono ai neonati. Quella foto è la radice della
struttura, e definisce sia il verso del “passato” che quello del
“futuro” per qualsiasi traiettoria noi volessimo seguire per
percorrere la serie di fotografie che abbiamo faticosamente (tentato
di) ricostruire.
Pertanto, la stessa forma
iniziale, priva di radice, ora si può ridisegnare in questo modo.
Si tratta della stessa
forma che abbiamo visto prima, con l'aggiunta del “passato” e del
“futuro” definiti appunto come distanza lungo la struttura dalla
foto che abbiamo scelto come “radice” (in questo caso, il punto al centro della spirale, corrispondente al rametto posto più in basso e a destra nella prima figura).
Questa nuova sequenza ci
permette, in modo approssimativo ma abbastanza fedele, di
ripercorrere la storia testimoniata dalle foto, e persino di
riconoscere sotto-storie prima non evidenti nelle foto. Perché ogni
storia, dopo tutto, è un processo ben più complesso di quello che
le nostre narrazioni vorrebbero imporre. Sovente, nel tentativo di
ripercorrere le serie storiche, se ci sforziamo di basarci su tutti i
fattori presenti, e non solo sul dettaglio a noi più caro, come può
essere la vita di nostro figlio, otteniamo qualcosa di più ricco di quello che volevamo trovare, nonostante che, forse, tale ricerca
sia partita proprio per capire quel dettaglio specifico a noi caro.
Inutile che vi dica che le
due immagini non sono disegnate a caso, ma sono il grafico “senza
radice” e “con radice” della filogenesi studiata con Megamatrice, così come esse emergono
dalla visualizzazione grafica del risultato dell'analisi della
distribuzione degli oltre 1500 caratteri definiti in oltre 300 taxa
di dinosauromorfi mesozoici. Nel primo caso è un'enigmatica
simmetria, nel secondo un elegante frattale.
Che sia la storia di una
famiglia umana o quella dei Theropodi, i principi generali con cui
tentiamo di dare un senso alla mole di informazioni che li
caratterizzano non cambiano molto.
Ma le altre piccole storie secondarie che vengono rappresentate da alcune foto potrebbero forse rappresentare una radice di inizio per un altro schema?
RispondiEliminaPer fare un esempio:
nella foto in cui il figlio del fotografo è un infante ha in braccio il fratellino piccolo di un suo amico.Quella foto potrebbe rappresentare la radice per un altro schema in cui vi sono le foto della vita del fratellino del suo amico e della sua famiglia?
Grazie.
Giulio.
Non penso che si dovrebbe forzare in modo così letterale la metafora usata nel post. Tieni presente che l'obiettivo della costruzione dello schema era di ricostruire la sequenza andata distrutta dal cane. Se nelle foto non ci sono sufficienti foto di quella seconda famiglia, è impossibile ricostruire quella storia. Non è un caso che ho descritto una raccolta di foto focalizzate su una sola persona, il figlio del fotografo.
EliminaPer farti capire l'esempio fuori di metafora, in Megamatrice ci sono 330 theropodi, perché l'analisi è focalizzata sui theropodi, ma ci sono anche 5 sauropodomorfi: tu puoi trarre una piccola sequenza della evoluzione dei sauropodomorfi anche da Megamatrice, ma è una serie molto piccola e quindi ti fornisce pochissimi dati sull'evoluzione dei sauropodomorfi, esattamente come la storia del fratellino dell'amico e della sua famiglia è una vita poco rappresentata nella serie di foto focalizzata sul figlio del fotografo.
OK.
RispondiEliminaGrazie della risposta.
Originale la metafora del post.
Giulio.