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21 novembre 2008

Abbracci Allosauroidi

Si specula sovente sulla funzione degli arti anteriori dei teropodi. Purtroppo, spesso ciò è fatto focalizzandosi solamente su una o poche caratteristiche. Curvature di unguali o lunghezza dell’arto sono aspetti significativi, ma se presi singolarmente sono alquanto sterili nel ricostruire plausibilmente abitudini e comportamenti. L’analisi di un sistema nella sua completezza ha l’apparente svantaggio di richiedere molto più tempo e dati di un’analisi di dettagli, ed in effetti è maggiormente soggetta alla propagazione dell’errore o a vincoli fittizi derivanti da una sottostima delle variabili in gioco, specialmente se il sistema è formalizzato per una simulazione computerizzata. Un’analisi di sistema effettuata su esemplari reali è fortemente significativa, in quanto permette di manipolare tridimensionalmente le anatomie, per testare direttamente le ipotesi funzionali. Ho accennato a questo approccio nella settimana arctometatarsale: esso è il tema del post di oggi, riguardante il grado di mobilità dell’arto anteriore degli allosauroidi (Senter & Robins, 2005).

Senter & Robins (2005) utilizzano un esemplare completo di arto anteriore di Acrocanthosaurus per determinarne sperimentalmente i gradi e gli angoli di mobilità a livello di tutte le articolazioni (alla spalla, al gomito, ai polsi e in tutte le dita). Tali angoli, derivanti dalla manipolazione diretta delle ossa lungo le superfici articolari, determinano uno spazio massimo teorico di mobilità dell’arto, dato che, in vita, cartilagini, muscoli e legamenti dovevano ridurre in parte tali angoli sperimentati sulle sole ossa. Il risultato è molto interessante, dato che ci permette di scartare varie ipotesi funzionali, in quanto incompatibili con il risultato sperimentale.

La figura mostra i massimi gradi di escursione craniale, caudale, ventrale e laterale dell’arto anteriore, ai rispettivi massimi di estensione o flessione compatibili con le varie posizioni.

L’omero può arretrare fin quasi a porsi orizzontale con la spalla, ma non può raggiungere una simile inclinazione quando si proietta lateralmente. Inoltre, il suo massimo di escursione craniale non va oltre il livello della spalla.

L’avambraccio si avvicina alla massima estensione rispetto all’omero quando questo è proiettato ventralmente, e può flettersi fino a formare un angolo retto con l’omero.

A dispetto di quanto si è soliti pensare (basandosi su vecchie ricostruzioni o su certe immagini computerizzate, come ad esempio in “Jurassic Park”) l’avambraccio non è in grado di effettuare movimenti di pronazione e supinazione, dato che radio ed ulna agiscono come un rigido complesso funzionale: dimenticatevi le posture con i palmi rivolti a terra o all’indietro: nei teropodi la mano è rivolta medialmente, verso il corpo (ciò accade anche negli uccelli, sebbene ciò non appaia ad un esame grossolano, dato che lo spostamento dorsale dell’articolazione della spalla rispetto alla primitiva posizione lateroventrale ha portato il palmo della mano ad essere rivolto ventralmente). Anche il movimento a livello del polso è relativamente ridotto. Al contrario, nei teropodi non-celurosauri è presente un’elevata mobilità a livello di metacarpali e falangi. Come detto, i palmi sono rivolti medialmente, verso la gabbia toracica, ed il moto delle dita è prettamente trasversale (parallelo al terreno). Tutte e tre le dita sono capaci di estrema estensione rispetto al dorso della mano. Nella fase di flessione, le prime due dita convergono, mentre movimenti di abduzione e adduzione (allontanamento o avvicinamento all’asse principale della mano) sono possibili solo al terzo dito. Il primo unguale della mano, il più grande e robusto, è permanentemente esteso rispetto alla falange che lo porta: di fatto, le due falangi sono immobili una rispetto all’altra, così che il primo dito si muove solamente a livello dell’ampia articolazione con il metacarpale.

Come interpretare funzionalmente questi risultati?

Appare evidente che con un tale range di mobilità (vedere immagine) la funzione di presa e manipolazione della preda è a carico principalmente della testa. Ciò è fortemente avvalorato da caratteristiche della colonna cervicale e del cranio, la prima molto mobile grazie alla condizione opistocelica dei suoi centri e per lo sviluppo di prominenti processi neurali per l’inserzione muscolare, la seconda chiaramente specializzata alla predazione. Dimentichiamoci quindi scene di allosauroidi che squarciano i fianchi dei sauropodi a colpi di artigli: per fare ciò, il teropode avrebbe dovuto stare a cavalcioni sul dorso della preda!

Sebbene abbia un ridotto margine di escursione, l’arto anteriore è pienamente funzionale, pertanto doveva essere impiegato nella cattura e manipolazione delle prede (a differenza di quanto invece appare in abelisauridi e tyrannosauridi, nei quali è probabile un uso esclusivo della testa come organo predatore): ciò ci porta a ipotizzare che esso fosse usato per coadiuvare l’azione della testa nella cattura di prede di taglia medio-piccola, che potevano essere afferrate con la testa e poi sospinte verso gli arti anteriori. In effetti, la presenza del robusto primo unguale, permanentemente esteso e probabilmente armato di un lungo astuccio corneo, indica una possibile funzione “a pugnale” della mano: questa poteva entrare in azione solo dopo che la preda veniva afferrata con la bocca e trascinata a livello del petto del teropode.

Gli animali sono sistemi integrati: per quanto sia necessaria un’analisi riduzionista delle singole parti per comprendere il tutto, è pur sempre la totalità che esiste, funziona ed evolve. A questo proposito, è interessante osservare come il sistema intergato testa&collo-braccio che abbiamo osservato nei tetanuri basali (in particolare allosauroidi) si trasformi nell’evoluzione dei celurosauri. Ma di tutto questo, vi parlerò in un altro post.

Bibliografia:

Senter P. & Robins J.H., 2005 - Range of motion in the forelimb of the theropod dinosaur Acrocanthosaurus atokensis, and implications for predatory behaviour. J. Zool., Lond. 266, 307–318

3 commenti:

  1. Si conosce la massima escursione laterale per un maniraptora come Deinonychus? Di recente ne ho ritratto uno nell'atto di balzare indietro per schivare un morso e mentre lo fa distende le ali per apparire più grande. Quanto è plausibile?

    Ti lascio il link per dargli un'occhiata: http://delirio88.deviantart.com/art/Deinonychus-antirrhopus-2014-431581724

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    1. Forse la tua ricostruzione è al limite massimo di abduzione ed elevazione dell'omero. Tenendo conto della postura che gli hai dato ed ammettendo un minimo di mobilità della scapola, non è del tutto implausibile, anche se, ripeto, forse è al limite massimo del range possibile per Deinonychus.

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    2. Grazie mille Andrea, sempre disponibile.
      Questi chiarimenti per me sono molto preziosi. Ci tengo a creare ricostruzioni plausibili e, specialmente in questa tavola, ho cercato di condensare tutto quello che ho imparato dal tuo blog.

      Grazie ancora.

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