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04 febbraio 2019

Il sinapside presbite, la scimmia stereoscopica, ed il paleoartista daltonico

"A Group Of Carnivorous Cynognathus Prey" (c) Mark Hallett

Guardate questa opera del paleoartista Mark Hallett: essa ritrae alcuni sinapsidi cinodonti del genere Cynognathus mentre banchettano col corpo del sinapside dicinodonte Kannemeyeria. L'opera è assolutamente pregevole, ed io ricordo di essermi innamorato del muso cagnesco del Cynognathus in primo piano fin dalla prima volta che vidi questa opera, venticinque anni fa. L'aspetto così esplicitamante "mammaliano" che Hallett ha saputo dare all'animale, pur mantenendogli la sua doverosa anatomia da "non-mammifero", è conturbante.
Eppure, superata la fase della fascinazione artistica, e raggiunta anche una età più matura per osservare la bella paleoarte in modo completo, qualcosa nella scena appare stonato. Qualcosa che trascende l'opera stessa (e che quindi, restando sul piano esclusivamente artistico, non ne intacca il valore), ma che comunque dovrebbe fondarne la composizione, dato che è un elemento chiave per comprendere e "visualizzare" questi animali del Triassico Inferiore. 
Guardate bene l'immagine. Guardatela bene e riflettete su di lei.

Oppure, se siete pigri, leggete il post.




Per la maggioranza degli esseri umani, il colore è un elemento ovvio e quasi banale della loro esistenza. Eppure (e forse voi siete tra quelli), esiste una minoranza di Homo sapiens che ha una ridotta (se non totalmente assente) percezione dello spettro cromatico. La inabilità visiva più nota è il daltonismo, che è una forma di cecità parziale ai colori. Nella forma più frequente, il daltonismo ha una causa genetica legata a mutazioni nel cromosoma sessuale X: questo ultimo fatto (ed il modo con cui i caratteri legati ai cromosomi sessuali si esprimano esteriormente) è il motivo per cui il daltonismo è molto più frequente nei maschi che nelle femmine.
La capacità di discriminare i colori è legata alla presenza e tipologia dei coni, dei fotorecettori situati sulla retina dell'occhio. Diversi tipi di cono assorbono prettamente diverse lunghezze d'onda luminosa, pertanto il cervello può ricevere una differente gamma di informazioni a seconda della "popolazione" di coni che risiede nel suo occhio.
I teleostei ed i sauropsidi (rettili e uccelli) condividono la presenza di quattro tipi di cono, ciascuno "ottimale" a diverse lunghezza d'onda. Negli uccelli, queste lunghezze d'onda si situano attorno ai 379 nanometri, 445 nanometri, 508 nanometri e 565 nanometri. La presenza di ben quattro tipi di cono è quindi ipotizzata essere un carattere condiviso in buona parte dei vertebrati, e quindi condizione primitiva di tutti i vertebrati terrestri.
Homo sapiens (a parte i casi citati prima) distingue i colori, ma lo fa avendo a disposizione solamente tre tipi di cono. Di questi, solo due sono omologhi ai coni dei pesci e dei rettili. Il terzo cono è una "novità evolutiva" derivata per duplicazione genetica di uno dei due coni condivisi con gli altri vertebrati. Pertanto, a differenza della maggioranza dei vertebrati (tetracromatici), Homo sapiens è tricromatico. A complicare la faccenda, la maggioranza dei mammiferi ha solamente i due tipi di cono condivisi con gli altri vertebrati, ma è privo del "nuovo cono", il quale è presente solamente in noi e nelle altre scimmie catarrine ("scimmie del Vecchio Mondo"). Difatti, la maggioranza dei mammiferi è considerata "dicromatica" e ha una discriminazione dei colori molto inferiore della nostra (e, a maggior ragione, di quella degli altri vertebrati non-mammiferi).
Se traduciamo queste informazioni in una serie evolutiva diretta a noi, lo scenario è il seguente:

  1. Tra 500 e 350 milioni di anni fa evolve la visione tetracromatica nei vertebrati (ABCD).
  2. Circa 300 milioni di anni fa, la linea sinapside e quella rettiliana divergono: dato che i rettili presentano la visione tetracromatica, l'ultimo antenato comune di mammiferi e rettili era anche esso tetracromatico  (ABCD).
  3. Circa 200 milioni di anni fa compare l'ultimo antenato comune di tutti i mammiferi viventi. Dato che la maggioranza dei mammiferi viventi è dicromatica, questa rappresenta la condizione ancestrale dei mammiferi: ciò implica che lungo la linea che porta ai mammiferi, in una qualche momento (o più momenti) tra 300 e 200 milioni di anni fa, si perdono due tipi di cono, e restano:  (AD).
  4. Tra circa 50 e 30 milioni di anni fa, una mutazione avvenuta in una popolazione di scimmie produce la formazione di un nuovo cono a partire da uno dei due coni mammaliani. Questo ci porta a noi (al netto dei casi di daltonismo, ovviamente):  (AED). 

Spero che le lettere colorate permettano a tutti (con o senza problemi di visione cromatica) di cogliere la sequenza evolutiva che porta alla nostra attuale visione.
Affinché una mutazione si conservi e (specialmente nei casi in cui porta alla perdita di una funzione) si trasmetta, occorre che sia perlomeno non-dannosa, meglio ancora se vantaggiosa. Quindi, è stato discusso quale motivo adattativo abbia portato alla scomparsa di due coni nella fase 3. Dopo tutto, anche solo intuitivamente, ridurre la capacità di discriminare i colori non appare molto vantaggiosa. L'interpretazione prevalente per la scomparsa dei coni lungo la fase 3 è legata alla paleoecologia dei mammiferi ancestrali e dei loro diretti antenati. Si ritiene che la linea proto-mammaliana alla fine del Triassico abbia imboccato un "collo di bottiglia ecologico" dal quale sono uscite solamente le forme adattate a stili di vita notturni e fossori. Siamo alla fine del Triassico, e gli unici sinapsidi a sopravvivere alla crisi della fine del periodo sono difatti solo i piccoli mammaliamorfi ed i primissimi mammiferi, animali interpretabili come forme notturne e scavatrici. Siccome uno stile di vita notturno e fossorio non richiede una particolare abilità nella discriminazione dei colori, questo stile di vita permetterebbe la perdita (o disfunzione) della capacità di distinguere i colori senza particolar svantaggio adattativo. A conferma di questo scenario, l'altra tipologia di fotorecettori della retina, i bastoncelli (specializzati a captare la luce anche in condizioni di scarsa illuminazione ma non in grado di distinguere il colore) non paiono subire la travagliata storia dei coni.
Piccola nota sul "cono aggiuntivo" di alcune scimmie (Homo compreso): anche in questo caso, si ritiene che la sua "fissazione" evolutiva derivi dal vantaggio adattativo ottenuto in un animale arboricolo e frugivoro come una proto-scimmia cenozoica, che poteva così identificare la frutta matura tra il fogliame con maggiore facilità (saper distinguere il rosso della frutta dal verde del fogliame può risultare un enorme vantaggio in un animale che deve sfruttare i vari periodi di maturazione e fioritura delle piante per nutrirsi). Lo so, è una just so story, ma perlomeno è dedotta a posteriori da una analisi filogenetica e non imposta per giustificare qualche pregiudizio...

Ci stiamo avvicinando al motivo del post.
Se accettiamo tutto lo scenario evolutivo che ho qui riassunto, concludiamo che la riduzione della capacità cromatica è avvenuta in un momento particolare della storia evolutiva dei sinapsidi, quando (forse sotto la pressione predatoria dei primi theropodi) una linea di cinodonti derivati si specializzò progressivamente ad uno stile di vita miniaturizzato, fossorio e notturno. Corollario di questa conclusione è che tutti i sinapsidi più basali dei proto-mammaliamorfi devono avere l'intera serie di coni tipica di tutti  vertebtati. Ovvero, concludiamo che animali pienamente diurni e di grandi dimensioni, come Cynognathus e Kannemeyeria, fossero pienamente tetracromatici!

Una caratteristica tipica degli animali tetracromatici è l'avere delle livree molto variegate e colorate. Al contrario, i mammiferi moderni (tutti dicromatici a parte le scimmie) sono molto più modesti e banali nelle colorazioni. Se ammettiamo una tetracromia visiva nei grandi sinapsidi permo-triassici, dobbiamo ammettere che essi fossero colorati alla medesima maniera dei grandi rettili e uccelli.
Eppure, se sfogliamo le carrellate di ricostruzioni paleoartistiche dei sinapsidi, nella maggioranza dei casi essi appaiono "color mammifero": sono in gran maggioranza beige, marroni, grigi. Il bel Cynognathus di Hallett ha una colorazione "leonina" ed Kannemeyeria è "color elefante". Una delle rare eccezioni è Dimetrodon, la cui vistosa espansione di pelle tra le spine neurali doveva probabilmente essere legata a qualche funzione visiva ed estetica. Ma Dimetrodon lo perdoniamo, è molto basale, spesso confuso per un rettile, quindi poco "mammifero"...
Quello che sostengo qui è che l'aver accentuato il fatto filogenetico che i sinapsidi siano più o meno imparentati direttamente coi mammiferi può aver "inconsciamente (?)" indotto gli artisti a seguire per questi animali un canone estetico ottusamente più "mammaliano", quindi inducendo a evitare livree più "rettiliane" (ma sarebbe corretto dire "vertebrate", perché anche pesci e anfibi sfoggiano colorazioni variegate). Provate a fare un censimento di quante ricostruzioni di sinapsidi li mostrino verdi o blu rispetto a quelle che li ritraggono grigi o beige.

Ovvero, è possibile che un certo "daltonismo" paleoartistico verso i sinapsidi sia dettato da una "miopia" nella corretta interpretazione evoluzionistica di elementi non deducibili direttamente dalle ossa, come il colore? 
E, in generale, non dovremmo ponderare le caratterizzazioni "mammiferine" nelle ricostruzioni dei sinapsidi in maniera più coscienziosa e argomentata, combinando tutte le fonti di informazione, invece che seguire in modo piatto e conformista delle generalizzazioni estetiche che strizzano l'occhio ad un vecchio approccio tipologico? (Vabbè, qui forse pretendo troppo...) 

14 commenti:

  1. Andrea, concordo anch'io sul tuo ragionamento A proposito, su Deviantart ho trovato un esempio di artista che ha provato a disegnare i terapsidi con una livrea più variegata del solito. Che ne pensi?

    https://www.deviantart.com/batterymaster/art/Father-Russia-738144723
    https://www.deviantart.com/batterymaster/art/I-do-Flap-My-Wattle-Good-Sir-736121150

    https://www.deviantart.com/batterymaster/art/Rugged-Masculinity-739151923

    Davide, da Torino


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    1. Un po' fumettoso per i miei gusti, ma fa piacere vedere qualcuno che si appassiona del Permiano e non disegna solo i soliti dinosauri.

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  2. Sarebbe interessante capire se la colorazione nei rettili e negli uccelli è legata in qualche modo anche a fattori dimensionali: se guardo tutti i rettili e gli uccelli più grandi oggi esistenti (coccodrilli, varani, struzzi/emu/casuari/rapaci/avvoltoi, e tartarughe ) vedo sempre i soliti colori: nero, bianco, verde, marrone, in differenti combinazioni, con qualche eccezione per il blu del casuario e il rosso di alcune creste nel condor o negli avvoltoi. Invece tutte le forme piccole d rettili e uccelli hanno colori in certi casi vivacissimi e spesso atti al mimetismo. Quindi non so, ma disegnare un dicinodonte di una o più tonnellate blu o rosso (specie considerando che non aveva nessuna cresta o escrescenza da mettere in mostra) mi sembra un tantino fuori dall'ordinaria sequenza di colori utilizzata dal gruppo dei più grandi uccelli e rettili oggi viventi.

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    1. 1- Non esistono solo dicinodonti di 2 tonnellate. La grande maggioranza era ben più piccola. La maggioranza dei therapsidi non-mammaliamorfi è di dimensioni medio-piccole. Non limitiamo il discorso ai giganti.
      2- Se dovessimo usare come paragone le specie viventi oggi, dove solo 4-5 specie pesano più di 2 tonnellate e sono tutte erbivore, dovremmo concludere che immaginare un mondo in cui coesistono contemporaneamente specie pesanti 10-20 tonnellate, compresi carnivori di 5-6 tonnellate, sia un'azzardata speculazione "un tantino fuori dall'ordinanza".

      Per fortuna, il mondo naturale non si limita ad agire in base alla nostra aspettativa ordinaria. Proviamo a non restare sempre chiusi dentro le nostre comode aspettative.

      Le giraffe sono animali enormi per gli standard mammaliani ed hanno il manto molto più variegato di qualsiasi antilope "classica"... evidentemente le giraffe non sono state informate su cosa sia la "ordinaria sequenza" che hai menzionato.

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    2. Se però cercassi di andare oltre ciò che vedo e su cui non ho altra scelta che basarmi, finirei nel campo speculativo, e a detta tua Andrea, un vero paleontologo fa ipotesi in basi ai dati concreti che possiede, cosa che hai sempre ribadito ad esempio nella caccia di gruppo dei teropodi: ovvero perchè speculare quando i dati in possesso mostrano altre validissime e più logiche alternatve? Il mio discorso ovviamente si limitava solo al grande dicinodonte senza prendere in considerazione i grandi mammiferi di oggi, ma solo rettili e uccelli: tutte le varietà più piccole, compreso lo stesso Cynognathus, che non va di molto oltre il metro di lunghezza, le immagino personalmente molto più colorate e variegate per i vari motivi che avevo menzionato sopra.
      Riassumo: non escludo a priori l'esistenza in epoche passate di animali di grossa taglia con colorazioni più variegate rispetto alla foto mostrata, dico solo che probabilmente anche l'autore non ha potuto fare altro che usare ciò che conosce senza entrare nel campo speculativo. Si nota sicuramente la sua tendenza nel considerare solo i mammiferi attuali come tigri o elefanti, ma guardando bene, anche i rettili e uccelli di grossa taglia attualmente esistenti (in riferimento al Kannemeyeria) non sembrano mostrare colori tanto diversi da quelli di mammiferi di taglia simile.
      Spero che non mi tiriate addosso Borealopelta!!

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    3. Nel caso della caccia sociale, escluderla è la spiegazione più plausibile, perché esistono spiegazioni più valide per quelle associazioni fossili, mentre la caccia sociale non solo spiega male la paleoetologia dei dinosauri, ma è contradetta dalla tafonomia dei siti in questione.
      Al contrario, proporre una colorazione che non viola alcuna legge biologica generale non è una speculazione. Non esiste alcuna regola o principio biologico per cui un animale di grandi dimensioni debba essere di colorazione "spenta". Quindi, imporre un vincolo dimensionale al colore è una speculazione.

      Fai attenzione a non confondere l'errore di campionamento con una "regola generale". Il motivo per cui tu osservi più specie colorate tra gli animali piccoli è solamente perché gli animali piccoli sono molto più numerosi e quindi aumenta la frequenza di qualsiasi colorazione. Ciò è solo un effetto della legge dei grandi numeri, e non una conseguenza di qualche misteriosa "legge del colore legato alla dimensione", come invece pare presumere il tuo commento.

      In base al tuo ragionamento, allora dovremmo anche ammettere che le specie piccole erano probabilmente di colore "spento" dato che esistono moltissime specie di piccoli animali che non hanno colorazioni vistose. Ovviamente, l'errore è nel ragionamento: non si può generalizzare una regola generale da campioni animali così ridotti come quelli delle specie "grandi" e confrontarli con campioni molto più ricchi (le specie "piccole").

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    4. Tra i vertebrati poi ci sono anche i pesci, e ne esistono diversi molto "variegati" anche se di grossa taglia, con colori mimetici, ma anche attrattivi per i partner, utili al ricnonoscimento inter-specifico, sfiziosamente visbili perchè poveri di predatori naturali ecc.

      Inoltre il mimetismo animale oggi risponde a criteri di selezione spesso determinati dal daltonismo dei grandi predatori. Non è un dato universale, specie nel tempo profondo. Il mimetismo militare, ad esempio, essendosi sviluppato per ingannare un occhio abituato ad uno spettro di colori più ampio (ma non ampio come quello di un falco), usa tutta una serie di colori molto rari da trovare in natura (specie tra gli anni '10 e gli anni '50), anche sugli uccelli terricoli più grandi (che, in buona parte del mondo, avevano nei mammiferi i loro principali predatori).

      Spezzare un controno è, spesso, più utile che confondersi con lo sfondo, anche perchè può funzionare con sfodi diversi.

      Valerio

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  3. Adesso è tutto più chiaro, grazie Andrea! A questo punto però mi chiedo che cosa si intenda esattamente quando si parla di "colore variegato": la mia mente non può riprodurre in un disegno ciò che non esiste, perchè elabora ed immagazzina solo ciò che è reale, quindi come può qualsiasi rappresentazione grafica andare al di là di una mera rimescolazione di ciò che conosco? Se io rappresentassi Camarasaurus tutto grigio, qualcuno mi accuserebbe di essermi ispirato ad un elefante; se lo disegnassi leggermente più "variegato" (visto che vi piace la parola) e cioè marrone più chiaro con chiazze scure qualcun altro mi direbbe che ho preso spunto da un qualche felino o una iena, o ancora dalla giraffa; se lo rappresentassi invece blu con striature rosse, tutti mi acclamerebbero perchè sono andato fuori dagli schemi e ho rappresentato qualcosa di più plausibile. Però la domanda nella mia testa rimane: cosa se ne fa un Camarasaurus di una pelle blu a strisce rosse? Quale logica evolutiva darebbe ad un animale di venti tonnellate una colorazione che permetterebbe ad un predatore di individuarlo anche ad 1km di distanza (non che un Camarasaurus sarebbe meno visibile se fosse tutto grigio, per carità!). Allora questo ragionamento mi impone di cercare tinte più sobrie, seppur rielaborate, e così ritorniamo al punto d partenza, in cui qualcuno mi dice che non va bene perchè è troppo simile a ciò che già esiste in giro... allora, disperato, provo a vedere cosa mi dice il record fossile, sperando in un qualche indizio. Cosa trovo?
    - Anchiornis: nero e bianco
    - Microraptor: nero
    - Borealopelta: marrone-rossiccio (sempre marrone è!)
    - Sinosauropteryx: marroncino-bianco
    - Archaeopteryx: nero
    - Caihong: iridescente (ma sempre su base nera!)

    Insomma come devo colorare sti benedetti animali??

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    1. 1- Gli esseri viventi non sempre rispondo alla semplice logica del "a cosa serve".
      A cosa serve il dente asimmetrico del narvalo? A cosa serve l'esagerata coda del pavone? perché la coda del pavone ha gli ocelli e non le striscie? Perché la zebra è bianca e nera invece che gialla e nera? Perché la giraffa ha delle piccole corna che sembrano funghi inneve di avete delle cupole ossee sopra gli occhi? Perché Kosmoceratops è pieno di corna mentre Centrosaurus è meno elaborato? Perché la coda dei ranforinchi termina in una losanga mentre quella di Darwinopterus no? Perché gli elefanti hanno 2 zanne ma Stegotetrabelondon ne aveva 4? Perché Dilophosaurus ha due creste e Monolophosaurus una? Cosa se ne fa Crylophosaurus della sua cresta rispetto a Guanlong?

      Ora, il fatto è che indipendentemente da quello che noi possiamo capire o obiettare, questi animali esistono (o sono esistiti). Il fatto che tu non capisca o non concepisca il senso del colore in un Camarasaurus non è una obiezione logica alla sua colorazione. Perché allora io potrei dubitare che esistano le giraffe reticolate, le zebre a strisce bianche e nere, gli occhi sulla coda del pavone, le code del pavone e i denti asimmetrici dei narvali.

      Per quel che riguarda i colori di Anchiornis, Microraptor, Boreopelta ecc...: quello è un artefatto tafonomico. Nei fossili tende a fossilizzare sopratutto il colore di tipo melanosomico (che è nero e bruno), ma questo NON significa che quegli animali fossero solo neri o bruni o che non esistessero altri colori. Solamente, gli altri pigmenti fossilizzano male o non fossilizzano per niente. Quindi, è sbagliato pensare che quelle siano le uniche tinte disponibili: i fossili non sono mai copie perfette degli esseri viventi.

      PS: non devi colorare questi animali. La paleontologia non impone la paleoarte. A volte, il buon senso ci dice di lasciare una creatura senza rappresentazione grafica, in attesa di nuovi dati. L'ossessione del dover sempre disegnare i taxa estinti è il problema di molti "paleoartisti". Ma a quella io non posso dare rimedio. Io sono un paleontologo, non un terapista.

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  4. e per quanto riguarda i sinapsidi presbiti ?

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    1. Dopo i 40 anni tendiamo a diventarlo tutti.

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  5. Trovo molto interessante questo discorso della colorazione e della percezione dei colori. Personalmente ritengo che anche l'ambiente in cui le creature si trovino possa dare una risposta evolutiva,cromatica in questo caso, rispetto ad altre. Ad esempio tornando al caso del Cynognathus e di Kannemeyeria la colorazione dermica potrebbe variare in base alla zona in cui essi vivevano. Il Triassico,nella sua fase iniziale, presentava ancora vaste zone desertiche (rocciose e sabbiose) che quindi potrebbero "giustificare" una colorazione riconducibile a quella rappresentata nell'opera. Soprattutto se ci si sofferma a pensare che queste creature percepivano i colori molto meglio di quanto non facciano i mammiferi odierni. Certo, nell'opera viene presentato un paesaggio verdeggiante,il che non è completamente da escludere in zone più vicine alle coste o con clima più umido. Ma tornando al discorso della colorazione delle creature,non è da escludere che esse potessero possedere colorazioni simili a quelle adottate da animalo odierni (la colorazione "leonina" in Cynognathus ad esempio) con variazioni cromatiche utili comunque al ruolo che esse ricoprivano (predatore o preda). Una preda potrebbe anche possedere una colorazione molto vistosa e variegata, individuabile facilmente da un predatore,ma che al contempo potrebbe comunicare a questi di non avvicinarsi in quanto essa potrebbe rappresentare un potenziale pericolo in caso di lotta. Il punto è che condivido il pensiero della non limitazione a colorazioni "standard" nelle creature preistoriche (non solo i dinosauri) poiché esse possedevano caratteristiche diverse dalle creature oggi presenti,ma al contempo di prenderle solo come base di partenza. Spero di aver espresso bene il mio pensiero e mi scuso per eventuali errori e/o per la eventuale confusione nel qual caso non mi sia espresso bene.

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  6. Bisogna dire però che, se effettivamente i sinapsidi possedevano peli omologhi ai nostri e con densità discreta, una colorazione accesa come quella di molti rettili e uccelli non era possibile.
    I pigmenti del pelo mammaliano hanno uno spettro di colori molto limitato rispetto a quello delle piume e squame di uccelli e rettili. Ora, ammettendo la presenza almeno nei cinodonti di pelo, colorazioni come blu, verde e rosso erano impossibili.
    Forse qualche zona localizzata libera dalla peluria poteva presentare colorazioni come quelle di varie scimmie (es. Macachi), ma nulla di più.

    Lorenzo

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  7. La questione è se lo spettro limitato del pelo sia un riflesso della loro dicromia (pelo scolorito
    perché visione dei colori ridotta) e quindi un carattere secondario rispetto alla colorazione ancestrale. Se così fosse, la tua obiezione viene meno.

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