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28 agosto 2015

Colore, dimorfismo e finti batteri in Anchiornis

Oggi, é il mio ultimo giorno all'Istituto Reale delle Scienze Naturali del Belgio (IRSNB). Sono stati 3 mesi veramente intensi, appassionanti ed importanti, e ci sarà modo in futuro per raccontarvi nel dettagli gli straordinari esemplari che ho avuto il privilegio di studiare. Uno di questi esemplari non é stato oggetto diretto delle mie ricerche, ma nondimeno ho potuto osservarlo molto da vicino, se non altro per il mero fatto che sta proprio qui, alle mie spalle, dentro il grande ufficio che ho avuto come laboratorio e dal quale sto scrivendo proprio ora. L'esemplare in questione é stato determinante per risolvere una controversia che ha grosse implicazioni visive per tutti gli appassionati di dinosauri.   
L'Anchiornis oggetto dello studio

L'ipotesi che fosse possibile dedurre (almeno in parte) la colorazione di un animale estinto partendo dalla microstruttura del suo tegumento é stata una delle più intriganti e controverse degli ultimi anni. In estrema sintesi, il metodo per dedurre la colorazione in un fossile richiede che questo conservi i pigmenti originari e che questi pigmenti, pur perdendo la colorazione originaria, mantengano la loro forma a livello microscopico: se questa forma é caratteristica nei differenti colori, analizzando al microscopio la forma dei pigmenti fossilizzati sarebbe possibile dedurre la colorazione originale.
Questa ipotesi richiede quindi la presenza nel fossile di organelli quali ad esempio i melanosomi. E buona parte delle ricerche sul colore dei fossili si é concentrata appunto sui fossili, come quelli dal Giurassico Medio-Superiore e dal Cretacico Inferiore del Liaoning cinese, che preservano tegumento portatore di melanosomi (piume e peli).  
Questa ipotesi é stata contestata sul piano tafonomico, sostenendo che i "melanosomi" osservati nei fossili non siano affatto gli organelli pigmentari, ma piuttosto la traccia dei batteri decompositori responsabili della preservazione delle tracce carboniose sui fossili. In breve, questa interpretazione alternative sostiene che le tracce filamentose che osserviamo nei fossili cinesi sarebbero formate dalle colonie batteriche che crebbero decomponendo le carcasse, e non sarebbero quindi i pigmenti originari: in pratica, questi fossili manterrebbero la forma del piumaggio e della pelle, ma non più la struttura originaria, sostituita dai batteri. Ovvero, secondo questa interpretazione alternative, non sarebbe possibile dedurre il colore da questi fossili.
Questa ipotesi alternativa parte dalla constatazione che batteri e melanosomi hanno forma e dimensione comparabile, e quindi non sarebbe possibile distinguere gli uni dagli altri sul piano della mera morfologia e morfometria.
Lo studio pubblicato ieri (Lindgren et al. 2015) risolve la questione analizzando i presunti melanosomi/batteri a livello di ultrastuttura chimica, per determinare se questa sia più compatibile con una origine pigmentaria o batterica. Siccome questo campo biochimico é aldilà delle mie competenze, non entro nei dettagli: lo studio conclude che la struttura molecolare degli organelli campionati é compatibile con i melanosomi e non con i batteri. Pertanto, essi sarebbero genuini pigmenti dell'animale, non tracce fossili dei batteri decompositori. Pertanto, se il ragionamento svolto per dedurre il colore dai melanosomi é valido, questi fossili possono essere usati per dedurre (parte) della colorazione originaria.

Lo studio in questione ha campionato frammenti di tegumento da un esemplare di Anchiornis attualmente in studio a Bruxelles presso il IRSNB, che preserva buona parte del piumaggio attorno gli arti e nella coda. L'esemplare é riferibile ad Anchiornis per la presenza di una ornamentazione caratteristica del coracoide: nelle proporzioni generali esso é molto simile ad altri Anchiornis descritti in precedenza, ma si differenzia da alcuni di questi per la forma e proporzione dell'ischio, che é più robusto e con un marcato processo dorsodistale. Queste differenze in un osso prossimo alla regione genitale potrebbero non essere significativa tassonomicamente, ma indicare un dimorfismo (probabilmente sessuale): ulteriori indagini tra i paraviani potrebbero fare luce su questo fenomeno, ma già ora mi pare interessante notare che una simile variabilità morfologica nell'ischio si osserva tra gli esemplari di Archaeopteryx.

Bibliografia: 
Johan Lindgren, Peter Sjövall, Ryan M. Carney, Aude Cincotta, Per Uvdal, Steven W. Hutcheson, Ola Gustafsson, Ulysse Lefèvre, François Escuillié, Jimmy Heimdal, Anders Engdahl, Johan A. Gren, Benjamin P. Kear, Kazumasa Wakamatsu, Johan Yans, and Pascal Godefroit (2015) Molecular composition and ultrastructure of Jurassic paravian feathers. Scientific Reports 5, Article number: 13520 (2015). doi:10.1038/srep13520

12 commenti:

  1. Il colore preservato in questo esemplare è differente da quello di esemplari con l'ischio meno robusto e con minore sviluppo dei processi dorsodistali?
    Ovvero c'è una relazione che conferma-rafforza l'idea di dismorfismo (o di speciazione) tra i diversi esemplari?

    Valerio P

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  2. Apparentemente, questo esemplare non ha la cresta rossastra sulla testa. Tuttavia, eviterei qualsiasi speculazione legata a dimorfismo sessuale in merito a questa differenza di colore, che potrebbe essere dovuta a preservazione, ontogenesi, muta stagionale, variazione a livello di specie o altro ancora. Avere il colore in solo due esemplari é troppo poco per dedurre qualcosa... sarebbe come avere solo i capelli di una uomo dai capelli rossi ed una donna coi capelli neri e dedurre che in Homo sapiens i maschi sono rossi e le femmine brune...

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  3. Incredibile. Per te deve essere stato fenomenale stare in uno studio così. Una domanda: sono previsti degli studi riguardo alla colorazione del piumaggio di Aurornis?

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    1. In questo ufficio ci sono esemplari ben più incredibili...
      No, il piumaggio nell'unico esemplare di Aurornis é poco conservato e non si faranno analisi su di lui.

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    2. Peccato. Sarebbe stato molto interessante. Scusa se vado un po' nel dettaglio ma la curiosità mi divora: mi citeresti anche solo uno degli esemplari ben più incredibili? Sono troppo curioso

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    3. L'olotipo di Aurornis xui.

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    4. Beh allora eri veramente in buona compagnia nello studio.

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  4. Per stabilire i limiti del dimorfismo sessuale è possibile utilizzare il confronto con gli uccelli attuali?

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  5. Lindgren et al. riportano che le strutture presenti sul piumaggio di Anchiornis contengono eumelanina, confermandone così la natura di melanosomi. Ne deduco, quindi, che la melanina possa durare, se il processo di fossilizzazione lo consente, almeno 165-153 milioni di anni . Non è impossibile, ma è sorprendente lo stesso: un conto è che si preservi la forma dei melanosomi, un altro è che se ne preservino le caratteristiche molecolari per un tempo così lungo. Mi chiedo allora se sia da rivedere lo scetticismo riguardante la presenza di "tessuti molli" e di collagene in fossili di Tyrannosaurus rex e di Brachylophosaurus canadensis come sostenuto da Mary Schweitzer e John Asara.

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    1. Il fatto che un tipo di pigmento si preserva non é automaticamente garanzia che altre strutture organiche facciano altrettanto. Ben venga lo scetticismo che impone ulteriori indagini.

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    2. Sì, quello che dici è più che condivisibile. Il dubbio derivava dall'idea che dopotutto le analisi biochimiche di Schweitzer e Asara non sono di qualità peggiore rispetto a quelle di Lindgren et al. La differenza sta probabilmente nel claim che sta alla base: nessuno dubita della presenza di strutture simili a melanosomi tra il piumaggio di Anchiornis (il problema semmai è la loro interpretazione), mentre il problema si pone riguardo ai supposti "tessuti molli" dei Dinosauri, rivelati dopo demineralizzazione, della cui esistenza si rimane (giustamente) molto scettici.

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