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17 luglio 2013

Di come Artù estrasse il dente dalla vertebra e spodestò il falso rex

Ha senso la parola "verità" in paleontologia?
Ripensavo a quel piccolo frammento di dente di Tyrannosaurus incastonato in quelle due vertebre caudali di Hadrosauridae. Ripensavo a come esso sia stato, suo malgrado, estratto (anche solo virtualmente) dalla sua culla osteologica e sedimentaria nel Mondo 1 per diventare così incisivo (dopo tutto, è un dente) in un cantuccio bizzarro del Mondo 3.
La paleontologia è una scienza; la scienza si presume che ambisca alla conoscenza, ovvero, ad una forma sempre più complessa, raffinata, funzionale e, sopratutto, adeguata, di rappresentazione della realtà che ci circonda. Rappresentazione complessa, perché ambisce a corrispondere a "qualcosa" composto da un'infinità di enti. Rappresentazione raffinata, in quanto elaborazione semplificata e filtrata dei dati in entrata. Rappresentazione funzionale, perché una conoscenza che non permetta di agire con successo nel mondo (anche soltanto prevedendo i pericoli) non è una conoscenza ma un'incoscienza. Ed adeguata, perché costantemente ridefinita alla luce delle nuove informazioni (e della correzione degli errori).
La "verità", per molti ricercatori scientifici, è un pericoloso feticcio metafisico dal quale dovremmo stare alla larga. La "verità" è pericolosa, è sirena dal canto soave ma dalle spire di boa, le spire del dogma e dell'ideologia totalizzante. Come un superstimolo endorfico, tale feticcio può continuare a dominare la mente dei suoi sudditi anche dopo che ne è emersa la sua natura malvagia. Per questa metafisicofobia, molti preferiscono una versione passiva della verità: la falsificazione. La scienza non sarebbe quindi un moto verso la "verità-come-fine", bensì un moto di allontanamento dal "falso-come-partenza". Il nostro motore, quindi, sarebbe il disvelamento dell'errore, non la scoperta del vero: in breve, non sappiamo dove andiamo, ma ciò che conta è allontanarci dal torbido fondale limaccioso.
Torniano all'oggetto della discussione: il dentino di Tyrannosaurus incastonato nelle caudali. Esso è il nuovo eroe di una battaglia virtuale tra due differenti concezioni della paleobiologia di Tyrannosaurus: questo, in sintesi, è la morale che molti ricavano dalla recente pubblicazione di quell'esemplare. In questa storia, molti, più o meno apertamente, hanno visto un perdente: Horner. Horner stesso ha cercato di parare il colpo con la mezza ritirata dell'ipotesi della iena-opportunista, ma è indubbio che il dentino incastonato sia un colpo mortale al modello di Tyrannosaurus che egli propose negli anni '90. Dato che quell'Horner, e non il più recente, era l'oppositore da controbattere, è a quel Horner che è indirizzata l'estrazione del dentino.
Paradossalmente, mi ha stupito la reazione di Horner. Dopo tutti i discorsi che ho letto e sentito da lui, ritenevo che avesse una ben chiara impostazione filosofica. Forse è così, ma non mi risulta che abbia rimarcato le ovvie implicazioni di questa scoperta. E ciò è bizzarro, dato che io, al posto suo, non avrei mancato di sottolineare la paradossale implicazione, che molti non colgono, di questa vicenda. Infatti, se avete seguito tutto il discorso fino a qui, converrete con me che Horner è il grande vincitore di questa diatriba. Il dente ha dimostrato che il Tyrannosaurus saprofago di Horner è falso, quindi l'ipotesi di Horner è stata falsificata in pieno, ma siccome abbiamo stabilito che la scienza è un allontanarsi dalla falsità, l'ipotesi di Horner, nell'atto di essere falsificata, ci dona una piccola spinta nella incessante risalita dal torbido fondale dell'errore. Horner, quindi, ha dato un contributo alla scienza, maggiore di quello che da l'affermare che il dentino estratto "confermi" altre concezioni su Tyrannosaurus.
Così, perlomeno, io interpreto tutta la storia dell'ipotesi saprofagica-spinta del primo Horner. Horner non considera la "verità" il fine della scienza. Egli ritiene la "fuga dal fondale" il vero motore della scienza. Pertanto, proporre un Tyrannosaurus "difficilmente falsificabile" sarebbe, secondo questa concezione, poco significativo, perché non fornirebbe alcuna spinta ascensionale al cammino della conoscenza. Al contrario, il patetico, zotico, antipatico e puzzone Tyrannosaurus saprofago, nella sua indolenza passiva, proprio perché falsificabile da un semplice dentino incastonato, è un formidabile strumento per la risalita dal fondale.
Ma, come?, obietterà qualcuno: quello che conta non dovrebbe essere la conoscenza del "vero Tyrannosaurus"? 
Ma cos'è il "vero Tyrannosaurus"? Ha senso questa domanda? Se, come ho scritto decine di volte, "Tyrannosaurus" non è un "essere verificabile" ma solamente una ipotesi per comprendere dei dati geologici chiamati "fossili", e se queste comprensioni non sono altro che azioni di allontanamento dal fondale oscuro, allora concluderete che il "vero Tyrannosaurus" è un inutile feticcio per nostalgici della verità metafisica, e che a noi "serve" molto più l'effimero Tyrannosaurus saprofago di Horner.

Eppure, nonostante la sua ineccepibile potenza popperiana, che cosa ce ne facciamo del Tyrannosaurus saprofago, una volta che è stato falsificato? Ora sappiamo che non descrive efficacemente i fossili, e che quindi è un non-ottimale strumento di interpretazione. Abbiamo sì guadagnato qualcosa nella risalita, ma a che prezzo? Nell'atto di scoprirlo inutile, infatti, abbiamo relegato il Tyrannosaurus saprofago all'oblio: ci inerpichiamo sulla sua apatica testa sporca di carcasse per risalire dal fondale, e nel fare ciò lo spingiamo inevitabilmente laggiù, nel torbido oblio limaccioso. Ma tutto questo atto si compie in pochi istanti. Dopo di che, rimaniamo senza appigli. Ci siamo allontanati dal fondale, abbiamo forse dato maggiore consistenza ad altre interpretazioni di Tyrannosaurus, ma non abbiamo acquisito qualcosa di nuovo, non abbiamo aggiunto un tassello alla conoscenza di questo theropode. Aver dimostrato che Tyrannosaurus saprofago non è soddisfacente, infatti, non implica automaticamente che altri Tyrannosaurus siano "veri".

Il paradosso si sta per manifestare in pieno. Il paradigma popperiano risulta efficace fintanto che non risulta efficace. Fintanto che la falsificabilità resta tale, essa funziona per risalire dal fondale. Ma nel momento in cui essa diventa falsificazione, quindi errore, la spina ascensionale si arresta, sopraggiunge la stasi. Accantoniamo il vecchio Tyrannosaurus, allunghiamo le mani verso i modelli che restano, per avere un appiglio, ma se facciamo ciò, dobbiamo riconoscere ed accettare che questo atto dovrà concludersi con un tradimento: se vogliamo risalire ulteriormente è necessario che rendiamo il nuovo Tyrannosaurus - appena agguantato - falsificabile a sua volta, per poterlo eventualmente falsificare, ed avere una nuova spinta verso l'alto. 
La strada per Tyrannosaurus pare lastricata da cadaveri di Tyrannosaurus...
Quanti altri Tyrannosaurus dovremo affondare ancora? Arriverà persino il giorno in cui, come estremo atto di falsificazione, elimineremo completamente questa ipotesi paleontologica, esattamente come gli unicorni dei bestiari furono esclusi dalla zoologia? 

Fuori di metafora: può la conoscenza basarsi solamente sulla spinta passiva della falsificazione?

Forse è tempo che si smetta di avere paura della verità, e si giunga ad un compromesso con le sue manie di dominio. Per quanto anche la scienza sia figlia del suo tempo, è davvero necessario trasfigurare la ricerca della verità in una post-moderna risalita a colpi di falsificazioni? Concediamole un potentato, facciamole firmare una Costituzione, limitiamo i suoi abusi con i mezzi leciti, ma non smettiamo di guardare a Lei. 

La risposta non è facile, né immediata. Io stesso non penso di averla, per quanto rifletta spesso, e da ormai tanti anni, sul significato della "verità" in paleontologia.

26 commenti:

  1. post molto problematico, coglie delle criticità importanti e offre molti spunti di riflessione - mi spiace non poter dare contributi più significativi, ma fra il parlare a vanvera e il tacere preferisco il tacere.

    Emiliano

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  2. Quella di Popper è una concezione della scienza, e più in generale del problema della demarcazione, piuttosto sempliciotta, ancorché popolare: non bisognerebbe insisterci troppo.
    Una concezione più articolata e di gran lunga meno ingenua è quella di Quine.

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    1. Va da se che per un lettore non inserito nelle discussioni epistemologiche, citare il nome di Quine non dice molto.
      Preferisco proporre uno spunto ragionato su un caso specifico, lasciando la conclusione del problema aperta, piuttosto che fornire una mera opinione pro o contro un filosofo.
      Come ho scritto alla fine del post, la questione sulla "verità" nella scienza non è così facile come il seguire o meno una concezione.

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    2. Non era tanto una critica, quanto una segnalazione: visto che lasci intendere ("Io stesso non penso di averla") di non avere una solida opinione in merito, volevo suggerire una possibile direzione d'approfondimento sulla faccenda.
      Faccenda che, purtroppo, non è facilmente compendiabile in un commento ad un post (come invece potrebbe esserlo l'idea del falsificazionismo di Popper) e mi rendevo conto che limitarmi a citare il nome di un filosofo — generalmente sconosciuto, peraltro! — potesse apparire del tutto gratuito, oltreché saccente. Del resto l'alternativa — mettere dei link a miei vecchi post in cui ne discutevo in un certo dettaglio — aveva un'ancor più greve parvenza di spam.


      In estrema sintesi, parziale e imprecisa, il punto è che la verità — la scienza — è un questione d'insieme, “i nostri asserti sul mondo esterno si sottopongono al tribunale dell’esperienza sensibile non individualmente, ma solo come un insieme solidale”: pensare di avere criteri puntuali e cruciali (come nel falsificazionismo di Popper) significa alzare steccati irragionevolmente severi, col risultato di lasciar fuori l'astronomia, la cosmologia e persino l'evoluzionismo.

      Con minor brevità, ma più sfacciataggine, lascio il link ad un paio di miei thread su Quine: un affresco piuttosto generale delle sue posizioni, ed un'applicazione "pratica" a proposito delle scienze sociali.

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    3. Sulla falsificabilità o meno dell'evoluzionismo, o su cosa sia l'insieme dell'evoluzionismo, ne ho parlato in parte in passato. Ritengo che affermazioni particolari sul processo evolutivo siano testabili in senso popperiano, con le dovute limitazioni del concetto di falsificabilità, e gli esempi abbondano.
      La mia opinione è che NON esista una solida opinione in proposito, anzi che è meglio che non ci sia una tale solidità in epistemologia.
      Senza offesa per i filosofi, ma alla lunga tutti questi temi sono pur sempre aria fritta alla quale non dobbiamo dare troppo peso.
      Il mio modo di approcciare l'epistemologia è sempre "leggero", perché dubito che si possa essere troppo rigidi con questi discorsi, senza rischiare di diventare ortodossi e avere una posizione "ideologica" sulla questione, e ciò sarebbe probabilmente il suicidio di qualsiasi "filosofia" della "scienza".
      La scienza è metodo sul mondo, pertanto deve essere aperto e rivedibile alla luce dei fatti empirici, non un sistema astratto fondato su chissà quale regola formale fine a sé stessa.
      L'epistemologia, non troppo presa sul serio, è un alveo nel quale però la scienza deve essere libera di scorrere, strabordare, defluire e anche ritirarsi.

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    4. Lascio deliberatamente da parte la provocatoria contraddizione del difendere l'opinione che non esista un'opinione, che ricorda molto l'aria fritta dei filosofi. Il fatto che tanti filosofi abbiano a lungo girato a vuoto sulla questione non mi sembra una ragione sufficiente per negare di principio la possibilità di una soluzione, per quanto possa capire benissimo che susciti graduale perdita di interesse. Del resto parlare di epistemologia senza una solida opinione, con libertà, "tanto per" — a bella posta, per di più! — manifesta precisamente i tratti deprecabili dei peggiori filosofi.

      Ben diverso è il caso se il tuo punto non è tanto quello di rifiutare una qualsiasi posizione epistemologia tout court, quanto di rifiutare quelle posizioni che propongono un'epistemologia semplicistica (à la Popper), con criteri di demarcazione rigidi e puntuali.
      In tal caso sfondi una porta aperta e mi trovi essenzialmente d'accordo. Ma non, debolmente, sulla semplice base del fatto che nessuna delle epistemologie proposte dai filosofi sembri convincente; al contrario, sulla base di una precisa epistemologia che dimostra che criteri di demarcazione rigidi sono sbagliati, oltre che ingenui, e suggerisce criteri di demarcazione più sofisticati, non assoluti, e inestricabilmente interni alla scienza, non calati dall'alto di una presunta filosofia prima.
      Come piacerebbe a te — da quel che intuisco — ma su solide basi, non per aver gettato la spugna sull'epistemologia. Questo è Quine.

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    5. Ahahahaha! Apprezzo chi coglie i differenti piani del discorso. Giammai essere un filosofo all'aria fritta, ma un blogger all'aria fritta, sì, quello sicuramente. Se non avessi a cuore questi temi non ne scriverei nulla. Al tempo stesso, non penso si debba calcare troppo sulla questione, almeno non qui. Come blogger di un blog primariamente paleontologico mi posso concedere il lusso di essere leggero, ironico, sarcastico e provocatorio su temi accessori, dato che sto giocando in casa mia con le regole mie (cosa che non tutti apprezzano... amen).
      Diverso il discorso quando faccio ricerca, dove mi pongo la questione in termini più rigorosi. Ogni scienziato deve anche essere un po' epistemologo, deve porsi sempre la domanda del "senso" delle sue indagini: in particolare, il significato che si estrae dal dato è (in quale misura) prodotto dall'atto di estrarlo? Se il fenomeno non è perfettamente ripetibile, da dove proviene la generalizzazione?
      Altrimenti ogni ricercatore diventa solo un esecutore tecnico di procedure.

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    6. Questo thread si sta spostando da un piano più propriamente epistemologico ad uno meramente stilistico — su cui non volevo e non voglio intromettermi.
      Nei miei commenti esprimevo un superficiale accordo con le posizioni epistemologiche espresse nel tuo post, e mi permettevo di suggerire delle solide basi per esse — invitando a leggere Quine — leggendo esplicita ammissione di non averne, di basi, solide, epistemologicamente parlando.

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    7. Se ti "intrometti" (parola tua) in un mio post non-paleontologico, devi accettare che, inevitabilmente ci saranno dei piani stilistici. Dopo tutto, ti pare che il tono e la forma del post fossero quelli di una rigorosa argomentazione epistemologica o di una seria esposizione di storia della scienza?
      Pretendi dal post (e dall'autore) qualcosa che non c'è (e che l'autore, consapevolmente, non ha mai voluto mettere, dato che egli non è un epistemologo rigoroso, né un filosofo della scienza, ma solamente una mente eclettica che ama giocare con questi temi secondo regole sue, per provocare in modi differenti i diversi tipi di lettore, grazie proprio alla compresenza di diversi piani di lettura).

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    8. Confermo che non mi interessava discutere del piano stilistico, ma cosa mai può significare che "non accetto che ci siano piani stilistici"?

      Mi sono riletto tutti i miei commenti e non vi ho trovato altro che:
      - il suggerimento di Quine;
      - la difesa della possibilità di un'epistemologia seria e non "d'aria fritta";
      - l'indicazione che una tale epistemologia "seria" è in grado di giustificare la gran parte delle opinioni espresse nel tuo post.

      Ah, forse ho capito: ti è forse sembrato che scendessi a parlare di stile quando ho criticato la posa di parlare di epistemologia "senza crederci davvero"? Ma noterai che quel mio commento non è scaturito dallo stile del tuo post, bensì dalla tua dichiarazione esplicita che dietro quello stile non v'era una solida posizione epistemologica. La mia critica, cioè, non era rivolta all'adozione di uno stile, ma all'elezione dello stile quale unico contenuto di merito.

      In definitiva, assumi pure lo stile che preferisci, e ci mancherebbe altro: parla pure di epistemologia con leggerezza, con semplici spunti di riflessione, sottolineando più le domande che le risposte, accennando ad opinioni che non ti senti di sposare con convinzione, dichiarando pure apertamente di non avere — di non essere (ancora) riuscito a farti — una solida opinione.

      Ma se pretendi di affermare che non esista proprio un'epistemologia seria, be', in tal caso sono qui a sfidarti. Con Quine.

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    9. Non pretendo niente.
      [La stai prendendo troppo sul serio...]

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    10. Forse ora non pretendi più niente, ma nel commento del 18/7/13 alle 00:24 sembravi dichiarare proprio quello.

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    11. Spero perdonerai la rozza brutalità del paleontologo, ma alla lunga queste discussioni non mi interessano. Quel poco che dovevo scrivere (e leggere) l'ho scritto (e letto). Non nego il valore di Quine e delle sue argomentazioni, che mi sta anche simpatico, ma non ho interesse a parlare troppo di queste cose. Ti ringrazio per i link al tuo blog, che sicuramente saranno esaustivi per chiunque voglia approfondire, ma io mi fermo qui.

      Sono consapevole dei miei limiti, molto "terra terra", ma già il mio cervello va in pappa per la manciata di studi che faccio: quando scrivo sul blog lo faccio per svago, per diversivo, per non appesantire oltre la mente.
      Se volessi andare oltre ciò che ho scritto prima, avrei scritto altro...

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    12. Mah, che delusione.
      Non me ne frega niente del mio blog, non volevo nemmeno linkarlo, mi offende profondamente l'accondiscendenza tutta di facciata del tuo ultimo commento.

      Il mio punto era semplice: contestare la tua affermazione secondo cui non sarebbe possibile avere una posizione epistemologica e tutto si risolva solo in chiacchiere. Hai ragioni per sostenerla? No? Allora limitati a dire che *tu* non hai — e non ti interessa avere — una posizione epistemologica chiara. Come in fondo lasci intendere nell'ultimo commento ("non mi interessa, ho già perso troppo tempo" etc), e va bene, ma guai ad ammettere di aver sbagliato, di aver esagerato nel pretendere di negare in maniera assoluta la possibilità di un'epistemologia.

      C'è un tuo commento scritto, qui sopra, con una tua affermazione chiara, che io contesto, e le possibilità sono due: o la difendi o vi rinunci. E invece? Non la difendi, giustificandoti col fatto che di quelle cose non te ne intendi, ma allo stesso tempo non sei disposto a rinunciarvi, per chiara arroganza.

      Bleah.

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    13. "Delusione", "mi offende", "me ne frega","difendere", "arroganza" e "bleah".

      Tutte quelle parole, a mio avviso eccessive considerata la discussione, confermano quanto ho scritto: prendi tutta questa faccenda troppo sul serio, almeno per i miei gusti. E ciò è un motivo più che sufficiente per non approfondire la discussione. Temo che sarebbe l'ennesima diatriba sul sesso degli angeli. Non sono queste le discussioni per le quali mi interessa approfondire: mi spiace per te, ma tu hai dato troppo peso a questo post, ed ora pretendi che anche altri appesantiscano il post per stare dietro al tuo desiderio di approdondimento? Invito chi è interessato a continuare altrove (sul tuo blog?) queste discussioni: qui non sono interessato a continuarle. Non ti va bene? Amen, non puoi imporre o pretendere che altri abbiano i tuoi interessi.
      Non capisco il tuo accanimento per la questione, ma forse è tipico di chi da troppo valore a queste astrazioni. Io, per mia indole, preferisco discutere su qualcosa fondato su solide prove empiriche, non su concetti che sono solo dentro la testa delle persone.
      Rispetto per le tue preferenze, ma, a differenza tua, io non "mi offendo" né "mi delude" sapere che hai interessi e impostazioni differenti da me.
      Ripeto: se ci tieni a questo discorso, ed è un tuo sacrosanto diritto, invita chi vuole continuarlo altrove, ad esempio sul tuo blog.
      Io qui non ho interesse a continuare, mi spiace ma è la semplice ed onesta verità. :-)

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  3. Se questa era la risposta a quel mio commento, ho capito che devo tenermi per me tutte le mie considerazioni inerenti la tua professione (soprattutto se riguardano Horner), almeno finché non saremmo faccia a faccia (in modo da evitare fraintendimenti). Vorrei chiederti comunque un piccolo aiuto. Mi servirebbe sapere il codice di un libro universitario dove si parla di "inferenza filogenetica". Magari, se si tratta solo di un capitolo del libro, mi servirebbe anche la pagina precisa. Spero in un tuo atto di bontà.
    PS.
    In ogni caso, complimenti per il sito.

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    1. Non capisco di cosa stai parlando né il motivo delle tue parole.
      Il post non è una risposta al commento di qualcuno.
      L'inferenza filogenetica non la trovi in un testo universitario in italiano.
      Ti conviene leggere:
      Bryant, H.N. and Russell, A.P. 1992. The role of phylogenetic analysis in the inference of unpreserved attributes of extinct taxa, Philosophical Transactions of the Royal Society of London B, 337:405-418.
      Witmer, L. M. 1995. The extant phylogenetic bracket and the importance of reconstructing soft tissues in fossils, in Functional morphology in vertebrate paleontology (ed. J. J. Thomason), pp. 19–33. Cambridge University Press.

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    2. Ti ringrazio per la cortesia.
      Avevo lasciato un commento due giorni fa: http://theropoda.blogspot.it/2008/07/i-due-spinosauri-di-horner-quello.html
      Pensavo che questo post potesse essere non una risposta specifica a me, ma piuttosto che ti avessi in qualche modo spinto a scriverlo. Comunque non ero sicuro che mi avessi letto quindi ho usato il "se".
      PS.
      Avevo fatto appello alla tua bontà, perché francamente credevo che ti saresti scocciato, ma tu fai questi favori come se nulla fosse. Sembra che hai quattro cervelli in turnover e che mangi duracel a colazione. Come fai?

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    3. Ho pensato solo ora (perdonami, ma sono veramente cerebralmente a terra) che magari erano informazioni che hai reperito velocemente con un clic. In ogni caso si vede che sgobbi di brutto.

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  4. Forse è meglio che mi dai anche titolo e autori del libro.

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  5. fai copia e incolla - del primo si trova il pdf ( col secondo non ho provato) se ce l'ho fatta io aversti potuto farcela anche tu da solo.
    poi ringraziare ( o usare la forma di cortesia "per favore potresti darmi anche etc") qualcuno che ti dà un'informazione (completa) è una questione minima di educazione.

    Emiliano

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    Risposte
    1. "Se ce l'ho fatta io aversti potuto farcela anche tu da solo."
      Beh! Non c'è l'ho fatta! Sono uno stupido?!
      "Poi ringraziare ( o usare la forma di cortesia "per favore potresti darmi anche etc") qualcuno che ti dà un'informazione (completa) è una questione minima di educazione."
      I ringraziamenti li uso dare DOPO avere ricevuto le cortesie richieste.
      Non c'è nulla di male o di scortese nel non ringraziare a priori. Non ho creduto neanche che uno con l'intelligenza di Cau se la sarebbe presa, nel ricevere solo dopo il suo dovuto ringraziamento (infatti mi sembra di avere ragione). Per quanto riguarda la forma di cortesia, come usano fare molti, era implicita nel condizionale nel commento precedente. Esagerare può essere preso come atto di piaggeria.
      Comunque ti ringrazio per la tua disponibilità (anche se mi hai mancato di rispetto trattandomi come un bimbo da educare!).

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    2. Mi rendo conto solo ora di una incomprensione, ho scritto di getto e di questi tempi sono fuso. Il mio secondo post l'ho scritto immediatamente dopo il primo, solo che Cau me li ha separati con il suo. Direi comunque che se Cau si fosse infastidito non me le avrebbe mandate a dire. Al posto tuo una prossima volta eviterei.

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  6. Ma sto Kappa ci è o ci fa?

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  7. Premetto che non conosco il modello di Horner. Il dente incastonato eviDENTEmente falsifica l'ipotesi di un T.rex esclusivamente saprofago. Tuttavia i tetrapodi carnivori (ad esempio la iena citata come modello) includono nella loro dieta sia prede cacciate attivamente che animali già morti (un facile pasto..) in proporzioni variabili da specie a specie. Se esistono delle caratteristiche anatomiche che fanno pensare ad adattamenti alla saprofagia nei tirannosauri, i paleontologi dovrebbero a questo punto stabilire quale parte della dieta di T.rex era rappresentata da carogne (o da prede). Non so però se i dati paleontologici permettano di ottenere questo tipo di informazioni.

    Marco
    p.s. bellissimo post, fossili per la mente.

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    Risposte
    1. Marco, in realtà, la questione che poni (e che pongono altri) è "futile": è come voler stabilire quanto tempo un animale con adattamenti da corridore lo passasse correndo rispetto a quando lo passava camminando lentamente.
      Sono domande lecite, ma sono futili, ovvero superflue e fondamentalmente inutili. I paleontologi sono pochi, i fondi sono scarsi... mi pare che ci siano temi molto più interessanti per i quali dedicare tempo ed energie, piuttosto che disquisire su dove collocare Tyrannosaurus dentro un fantomatico range di predazione-saprofagia.
      Anche perché penso che questa domanda sia priva di senso in paleontologia...

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