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23 febbraio 2009

Come si realizza un’analisi filogenetica di un fossile? Il caso “Enantiophoenix”

Oggi è una data speciale per me, quindi, voglio farmi un regalo!

Forse non sarà tra i post preferiti dai miei lettori, ma spero possa risultare utile per alcuni di loro, se sono interessati al modo con cui si cerca di ricostruire scientificamente l’evoluzione di un fossile. Userò come esempio un fossile che ho studiato direttamente, e del quale ho determinato la posizione nell’albero evolutivo dei theropodi, l’uccello Libanese Enantiophoenix electrophyla, del Cretacico Superiore.

La procedura di analisi filogenetica si può semplificare in una serie di fasi.

1- Descrizione morfologica del fossile. Nel caso di molti dinosauri, data la loro notevole taglia, l’osservazione è possibile direttamente, maneggiandoli, nel caso non siano eccessivamente fragili o fissi ad un substrato. Nel caso di Enantiophoenix, dato che l’esemplare è un assemblaggio di ossa mescolate a una roccia, in tutto grande come un portafogli, è stato necessario l’uso di un potente stereomicroscopio, che ha permesso di osservare dettagli minuti, quali la presenza di forami nervosi nel coracoide o di tubercoli ossei per l’inserzione di tendini nel metatarso. Questi piccoli dettagli si riveleranno importantissimi in seguito.

2- Determinazione del suo status: il fossile è attribuibile ad una specie, o può solo essere collocato genericamente in un gruppo più ampio? Dall’osservazione è risultato che il fossile è chiaramente un piccolo uccello (la forma del coracoide e l’ossificazione di sterno e metatarso non lasciano dubbi in proposito), ed ha una serie di caratteristiche mai osservata prima in altri esemplari. In particolare, ho osservato che esso ha una combinazione nuova di caratteri (acromio del coracoide basso e poco proiettato anteriormente, leggera costrizione del corpo della scapola, un piccolo tubercolo mediale sul secondo metatarso). Questi fatti ne sanciscono lo status di nuova specie.

3- Confronto con altre specie. Anche se nuova, la specie Enantiophoenix electrophyla potrebbe essere imparentata direttamente con altre già note? Per determinare ciò, è necessario conoscere le caratteristiche degli altri uccelli mesozoici, per stabilire a quali assomigli maggiormente. Ciò mi ha permesso di confermare l’osservazione preliminare che attribuiva l’esemplare agli enantiorniti: come altri enantiorniti, Enantiophoenix ha un margine laterale del coracoide convesso, un solco mediale del coracoide in cui è posto il forame del nervo sopracoracoideo, un lungo ipocleido della furcula, e un primo dito del piede robusto con grosso unguale.

4- Analisi filogenetica vera e propria. Qual’è il significato evolutivo dei caratteri che ho osservato? Sono veramente caratteri utili per stabilire le sue affinità? Come si distribuiscono questi (ed altri) caratteri nello schema evolutivo noto? Per capire ciò è necessario effettuare un’analisi filogenetica. Essa si compone di:

4a- Lista dei caratteri: tutte le caratteristiche morfologiche che possono essere utili per risolvere le relazioni di parentela di Enantiophoenix devono essere incluse nell’analisi. Ciò significa che non solo bisogna includere tutti i caratteri visibili nel fossile, ma anche quelli presenti in potenziali parenti di questo fossile, anche se attualmente non possono essere determinati in Enantiophoenix. Ad esempio, attualmente il cranio di Enantiophoenix è sconosciuto: in ogni caso, tutti i caratteri del cranio che possono essere determinati negli altri uccelli mesozoici, e che possono aiutare a ricostruire la filogenesi, devono essere inclusi. L’esclusione a priori di caratteri è un modo scorretto di effettuare l’analisi: infatti, come possiamo sapere se un carattere è utile o no, senza averlo testato? Sarà il risultato dell’analisi a dirci se il carattere è significativo o meno, e non la nostra scelta preliminare.

4b- Scelta dei taxa da includere nell’analisi. Analogamente come il caso dei caratteri, qualunque taxon possa essere significativo per ricostruire l’evoluzione di Enantiophoenix deve essere incluso. Ovviamente, dato che questo fossile è un uccello enantiornite, l’oggetto dell’analisi saranno gli enantiorniti e i loro parenti prossimi : non avrebbe senso includere taxa troppo lontani dalla sua probabile posizione. Ad esempio, non ha senso includere Triceratops o Baryonyx, mentre è utile includere forme prossime all’origine degli uccelli, come Archaeopteryx o Jeholornis. Anche se non sono enantiorniti, questi due theropodi sono infatti dei buoni esempi della possibile condizione morfologica da cui sono derivati gli antenati degli enantiorniti. Ovvero, essi sono dei buoni gruppi esterni (outgroups) per questa particolare analisi. Una volta inquadrato il gruppo di taxa utili, come procedere? Quali enantiorniti è bene includere? Le forme molto frammentarie devono essere inserite? La mia opinione è che qualsiasi forma che abbia una combinazione di caratteristiche differente dalle altre deve essere inserita, perché potrebbe essere un taxon-chiave, capace di colmare delle lacune evolutive importanti, e creare collegamenti inattesi e non ipotizzati tra specie più complete. Spesso, in analisi del passato, era invece diffusa l’idea di includere solo le forme meglio conservate e complete, scartando quelle frammentarie, anche nei casi in cui esse erano comunque potenzialmente significative: come nel caso dell’esclusione a priori dei caratteri, trovo questa procedura poco scientifica, dato che non è ben chiaro con quale criterio oggettivo si decida di escludere o includere i taxa.

Nelle mie analisi, escludo solo quelle forme così frammentarie da avere la loro combinazione di caratteri identica ad un sottoinsieme della combinazione presente in una forma più completa. (Ad esempio, se fosse risultato che la combinazione di caratteri nota in Enantiophoenix è uguale ad un sottoinsieme di quella nota in Sinornis, uno degli enantiorniti meglio noti, non avrei incluso Enantiophoenix in un’analisi, dato che, in tal caso, esso sarebbe risultato equivalente ad un “pezzo” di Sinornis).

5- Matrice. I dati così definiti vengono immessi in una matrice, la quale ha in ogni riga una specie/taxon, ed in ogni colonna uno specifico carattere. Ad esempio, la riga n°1 è Archaeopteryx, la n°2 è Jeholornis (i due gruppi esterni scelti), la n°4 Apsaravis, ecc... La colonna n°1 è il primo carattere utilizzato, il n°2 il secondo, e così via. La matrice in questione, usata nel mio articolo su Enantiophoenix, comprende 36 uccelli mesozoici e 192 caratteri relativi all’intero scheletro. Una volta compilata la matrice con la lista dei caratteri e determinate le condizioni di questi nei taxa che abbiamo incluso nell’analisi, si passa all’elaborazione dei dati. Costruire una matrice di queste dimensioni è un lavoro che può impiegare anche mesi...

6- Elaborazione dei dati. I programmi di elaborazione delle matrici filogenetiche (come PAUP o TNT) calcolano la distribuzione in forma di albero evolutivo delle specie incluse, cercando di minimizzare il numero di eventi evolutivi che dobbiamo ammettere per giustificare quel particolare albero. Sebbene possa apparire un concetto contorto, esso è lo stesso seguito dai paleontologi delle generazioni precedenti quando proponevano una filogenesi, con la differenza che ora abbiamo gli strumenti di calcolo sufficientemente complessi per poter far fare ad una macchina, in poche ore, quello che un uomo farebbe in mesi di (faticose, e noiose) comparazioni e valutazioni (ve lo dico per esperienza diretta, dato che lo feci per la mia tesi di laurea, nella quale elaborai una filogenesi dei coelurosauri senza ausilio del computer: ci vollero mesi di calcoli manuali, e numerose rappresentazioni grafiche dei singoli caratteri su diagrammi evolutivi, per ricostruire la distribuzione di 360 caratteri in 45 taxa! Sopra una certa soglia di complessità e dettaglio, elaborare "manualmente" una filogenesi di grosse dimensioni è umanamente impossibile!).

7- Discussione del risultato. Come ho appena detto, una filogenesi è un’ipotesi scientifica, quindi logico-matematica, che cerca di interpretare i dati in nostro possesso. L'ipotesi che abbiamo elaborato è valida? Ovvero, il risultato dell’analisi morfologica che abbiamo ottenuto è plausibile? Ad esempio, quanto è congruente con la stratigrafia e la paleogeografia? Produce processi evolutivi coerenti con le leggi generali dell’evoluzione? Questa è la fase della discussione del risultato, nella quale il bravo cladista prende il suo elaborato informatico, quantitativo, e ne valuta la qualità. Spesso, i critici della cladistica dimenticano che questo è il vero risultato dell’analisi filogenetica, e non la pura e semplice illustrazione di un albero. Nel caso di Enantiophoenix, il risultato ottenuto produce un’interessante ipotesi paleogeografica, in base alla quale il nuovo enantiornite libabese è una forma basale di un clade, chiamato Avisauridae, formato da specie presenti (per quel che sappiamo finora) solo in Europa e America, ma assente nelle ricche formazioni ornithologiche dell’Asia orientale: il cladogramma produce un’ipotesi qualitativamente elegante, in base alla quale gli avisauridi sono un gruppo esclusivamente occidentale, con la forme più primitive, come Enantiophoenix, localizzate nel Medio Oriente, quindi in posizione interemedia tra gli avisauridi più evoluti, Euro-Americani, e gli altri enantiorniti, noti principalmente in Asia.

Dato che nessun carattere geografico era incluso nell’analisi (che è basata solo sulla morfologia), questa ipotesi evolutiva, che unisce cladistica e paleogeografia, non può essere accusata di essere una forzatura dei dati: la filogenesi non è stata manipolata per produrre apposta questo modello paleogeografico, il quale è invece una conseguenza a posteriori di un modello basato solo sull’evoluzione morfologica.


Bibliografia:

Cau A. & Arduini P., 2008 - Enantiophoenix electrophyla gen. et sp. nov. (Aves, Enantiornithes) from the Upper Cretaceous (Cenomanian) of Lebanon and its phylogenetic affinities. Atti Soc. it. Sci. nat. Museo civ. Stor. nat. Milano, 149 (II): 293-324

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