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11 novembre 2008

Arctometatarsalian Week - Seconda Parte: La chiave di volta elastica

In questa seconda puntata analizzaremo l’arctometatarso dal punto di vista biomeccanico. Vedremo come le varie ossa (MT II, III e IV) si articolino tra loro e come trasmettano le forze con le ossa a loro prossimali (il tibiotarso) e distali (le falangi del piede). Vi rimando al post precedente per la morfologia dell’arctometatarso: tenetela bene a mente per comprendere questo post!

Studi morfometrici (Holtz, 1994) indicano che i metatarsi di tipo arctometatarsale (“Arcto”) sono relativamente più lunghi e stretti di quelli non-arctometatarsali (“Norm”) e che gli arti posteriori Arcto sono, a parità di lunghezza del femore, più lunghi di quelli Norm. Nei vertebrati attuali, entrambi questi fattori sono associati all’evoluzione di adattamenti cursori (Coombs, 1978). L’analisi biomeccanica di Holtz (1994) ha dimostrato che, sebbene apparentemente più gracili, i metatarsi Arcto non risultano più fragili di quelli Norm nel resistere a forze di torsione e compressione. Ciò mostra che la condizione arctometatarsale non solo poteva sopportare lo stesso carico di forze locomotorie degli altri teropodi, ma permetteva ai suoi portatori, grazie alla maggiore lunghezza relativa degli arti (che implica anche una maggiore falcata), di raggiungere velocità maggiori di quelle raggiungibili dai non-arctometatarsali della stessa taglia (Alexsander, 1989). Indipendentemente dal valore assoluto di queste velocità (e dalla durata della corsa), è chiaro che i teropodi arctometatarsali potevano raggiungere velocità maggiori di quelle degli altri dinosauri di taglia analoga, con un indubbio vantaggio adattativo.

Tuttavia, anche se abbiamo dimostrato che la morfologia Arcto permetteva di avere arti più lunghi senza ridurre la resistenza meccanica, non è stato risolto il quesito del perché si sia evoluta una morfologia così complessa, “a cuneo”, tra i metatarsi. Infatti, esistono teropodi non-arctometatarsali con arti posteriori egualmente allungati (ad esempio, Deltadromeus, Elaphrosaurus e Gigantoraptor, per non parlare degli struzzi) i quali dimostrano che l’arctometatarso non è una condizione necessaria all’allungamento degli arti posteriori dei teropodi.

Evidentemente, l’arctometatarso deve conferire dei vantaggi assenti nei metatarsi “normali”, indipendentemente dall’allungamento dell’arto.

Due fattori biomeccanici influiscono sull’evoluzione di lunghi metatarsi: la resistenza alla dislocazione e la capacità di scaricare le forze dal piede al tibiotarso. Nella maggioranza dei cursori attuali (in particolare, ungulati e uccelli corridori) si osserva la tendenza all’evoluzione di un unico osso metatarsale centrale (per fusione degli interni e/o riduzione degli esterni) che scarica la reazione del terreno direttamente sull’articolazione del tibiotarso (tramite un sistema di legamenti e cartilagini). Questo osso principale (unico in struzzi e cavalli, mentre è il risultato della fusione mediana di due ossa in antilopi e giraffe) ha i pregi di essere più resistente alla torsione rispetto ad un sistema di ossa distinte e di scaricare efficacemente tutte le forse in un unica direzione, ma ha il difetto di essere poco elastico (ovvero, non dispone di meccanismi di ammortizzamento; Snively & Russell, 2003). Questo limite accresce con la taglia dell’animale e spiega perché un animale come la giraffa, pur avendo arti straordinariamente lunghi, non raggiunga le stesse velocità di struzzi e cavalli (che hanno arti molto più corti, ma non sono soggetti alle sollecitazioni meccaniche di un animale pesante una tonnellata). Riassumendo: nei corridori attuali, che hanno evoluto un lungo metatarsale principale, le prestazioni cursorie risultano da un compromesso tra l’efficienza nello scarico delle forze e la diminuzione delle capacità di ammortizzamento delle tensioni.

Tornando all’arctometatarso, esso risulta perfettamente adatto a risolvere entrambi i problemi biomeccanici citati sopra.

1- I tre metatarsali sono uniti da un sistema di legamenti elastici (ricostruibile dalle tracce sulle ossa) che connette le parti prossimali e distali dei tre. Le forze di reazione del terreno scaricano principalmente su MTIII, per poi trasmettersi prossimalmente su MTII e IV (vi ricordo che il terzo metatarso di questi teropodi si riduce in spessore prossimalmente). Questi due metatarsali adiacenti a MTIII sono allineati direttamente con i condili del tibiotarso e quindi scaricano direttamente sulle articolazioni della caviglia, senza dissipazione di energia (Coombs, 1978; Holtz, 1994).

2- Sebbene sia formato da tre ossa distinte (MTII-III-IV), l’arctometatarso è strutturato per risultare funzionalmente analogo al metatarsale compatto centrale dei corridori attuali. La forma “a cuneo” della sezione distale di MTIII fa sì che nel momento di massimo carico delle forze di reazione del terreno con MTIII i legamenti elastici distali spingano MTII e IV caudalmente (cioè parzialmente “sotto”) a MTIII (al contrario, in piedi privi di meccanismo “a cuneo”, i metatarsali tendono a divergere nel momento di massimo carico, aumentando la tendenza alla dislocazione del piede: ciò spiega perché nell’evoluzione dei cursori sia diffusa la tendenza a perdere i metatarsali adiacenti a quello/i principale/i): il risultato è che nel momento di massima spinta del piede contro il terreno, l’arctometatarso si compatta, divenendo più resistente nei confronti del dislocamento (Snively & Russell, 2003) ed agendo funzionalmente come un unico osso. Tuttavia, l’arctometatarso, essendo formato da tre ossa distinte connesse da legamenti elastici, conserva le capacità di ammortizzamento delle forze di torsione che invece è persa/ridotta nel singolo osso principale dei corridori attuali.

Questo modello, detto della “chiave di volta elastica” (Snively & Russell, 2003), è stato dimostrato sperimentalmente su piedi articolati di tyrannosauridi. Le implicazioni di questi studi sono che l’arctometatarso poteva subire sollecitazioni cursorie simili a quelle dei vertebrati con un solo metatarsale principale, ma al tempo stesso non era vincolato dalle limitazioni biomeccaniche implicite in quel modello, che tendono a sfavorire gli animali di grande taglia (come si osserva ad esempio nelle giraffe). Ciò può spiegare la persistenza dell’arctometatarso anche in animali giganteschi come Tyrannosaurus. Ovviamente, ciò non implica necessariamente capacità cursorie in Tyrannosaurus analoghe a quelle degli arctometatarsali di taglia medio-piccola, ma nondimeno evidenzia che esso poteva sostenere sollecitazioni meccaniche più intense di quelle di altri teropodi giganti. In particolare, la capacità di assorbimento meccanico presente nell’arctometatarso, associata alla sua maggiore resistenza al dislocamento laterale dei metatarsali (quest’ultimo generabile in fase di cambiamento di direzione/moto, quando i metatarsali subiscono tensioni differenti in funzione della loro divergenza dall’asse centrale del piede; Snively, 2000), implica che i teropodi arctometatarsali potevano deviare la direzione del loro moto con maggiore repentinità dei non-arctometatarsali (perché meno soggetti ai rischi derivanti dalle forze di torsione sul piede).

In conclusione, è plausibile che gli arctometatarsali (tyrannosauridi, ornithomimidi, troodontidi, mononykini, avimimidi ed elmisauridi) fossero relativamente più veloci ed agili dei loro simili non-arctometatarsali. Inoltre (aspetto particolarmente importante per animali di grande taglia), potevano rallentare il moto in maniera dinamicamente meno pericolosa, assorbendo meglio “la frenata” ed i cambi di direzione, rispetto agli altri dinosauri della stessa taglia. Quindi, persino nell’ipotesi che non fosse un corridore, anche un gigante come Tyrannosaurus doveva essere, proprio in virtù dei vantaggi concessi dall’arctometatarso, più rapido ed agile rispetto ad altri giganti privi di arctometatarso.

Nella prossima puntata vedremo se la complessa anatomia dell’arctometatarso sia un tratto distintivo di un particolare clade di teropodi o sei sia comparsa più volte indipendentemente, e quali implicazioni evolutive abbia la distribuzione di questa anatomia in Theropoda.

Bibliografia:

Alexander R.McN., 1989 - The Dynamics of Dinosaurs and Other Extinct Giants. New York: Columbia University Press.

Coombs WP Jr., 1978 - Theoretical aspects of cursorial adaptations in dinosaurs. Quarterly Review of Biology 53: 393–418.

Holtz T.R. Jr., 1994 - The arctometatarsalian pes, an unusual structure of the metatarsus of Cretaceous Theropoda (Dinosauria: Saurischia). Journal of Vertebrate Paleontology 14: 480–519.

Snively E. 2000 - Functional morphology of the tyrannosaurid arctometatarsus. Unpublished MSc Thesis, University of Calgary.

Snively E., Russell A.P., 2003 - A kinematic model of tyrannosaurid arctometatarsus function (Dinosauria: Theropoda). Journal of Morphology 255: 215–227.

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